«Ha dato prova di una perfetta padronanza della lingua italiana e per ciò stesso di una seria capacità d’inserimento». Queste le motivazioni alla base della sentenza del Tribunale di Venezia, che ha preso in esame il ricorso di un 29enne del Mali. Il giovane nel 2017 si era visto respingere la richiesta di protezione internazionale dal tribunale di Verona. Ma il tribunale veneziano ha sentenziato che «il rimpatrio in Mali costituirebbe un danno sproporzionato alla sua vita privata».
«Il giovane ha dimostrato di aver dato prova di capacità di integrazione»
Questo malgrado il 29enne non possa essere considerato un rifugiato internazionale, poiché non è «oggetto di persecuzione per razza, religione o appartenenza a un determinato gruppo sociale», e «le circostanze non fanno emergere la sussistenza di un danno grave in caso di rientro in Mali, cioè il rischio verosimile di essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti».
Il giovane, oltre ad aver dato prova di capacità di integrazione, «ha dimostrato di essere occupato a tempo pieno in molteplici attività lavorative, dalla vigilanza al lavoro in ristorazione e in agricoltura, di aver frequentato e concluso la scuola secondaria, oltre allo svolgimento di volontariato e di essere in procinto di acquisire la patente».
Il diritto sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo
Tutti questi elementi hanno fatto sì che il giudice sentenziasse che, onde evitare di «arrecare un danno sproporzionato alla sua vita privata», il giovane potesse restare in Italia. Questo aspetto è sancito anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che «assicura una tutela sia alla vita familiare che alla vita privata, la cui nozione comprende l’integrità fisica e morale della persona e può includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, tra cui quello relativo a una vita lavorativa legalmente avviata».
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