«Animali Notturni», il nuovo album dei Fask: «L’unico modo per crescere è fare la propria merda e crederci»

Sono di Perugia, e suonano insieme dal 2007. Dopo oltre dieci anni di concerti e underground, ora hanno prodotto un album con una major. Il ritorno dei Fast Animals and Slow Kids è cominciato dal palco del concerto del primo maggio

«Metti questa in radio. Se hai coraggio, se hai un cuore, passa questa canzone». Diretti, aggressivi, con il loro rock che sconfina senza troppi complimenti nel punk. I Fast Animals and Slow Kids sono tornati. Il loro nuovo album si intitola Animali Notturni e qualcuno dei suoi undici brani potrebbe davvero passare in radio.


Per la band di Perugia questo è il primo album prodotto con una major. Accanto a Woodworm, l'etichetta che li segue da anni, c'è anche Warner. Una nuova stagione, aperta salendo sul palco del concerto del primo maggio a Roma. I Fast Animals and Slow Kids, Fask come li conoscono i fan, sono nati nel 2007 a Perugia.


Oltre 12 anni di carriera, centinaia di concerti in giro per l'Italia e una vita nell'underground, un ambiente in cui non solo sono stati protetti ma hanno avuto anche possibilità di esprimersi come volevano. Per la presentazione del loro nuovo album hanno scelto Milano. Un appartamento di un palazzo signorile in centro con un aperitivo a base di cibo umbro. Lanciati nella Serie A della musica ma non troppo lontani dalle loro origini.

A rispondere alle domande di Open è Aimone Romizi, cantante della band.

Animali Notturni. Chi sono e dove trovarli.

«Gli animali notturni sono ovunque. L'idea di base era proprio quella di riuscire a incarnare due anime, due aspetti della persona. Un aspetto più libero e libertino e uno più riflessivo. L'animale notturno può essere uno che fa serata fino a tarda notte, che sta fuori fino al mattino, che non pensa a niente. Ma può essere anche una persona che invece sta in casa, chiuso, che sta ascoltando la propria musica o la sta scrivendo».

Come si lega alla musica dell'album?

«Anche l'album ha due facce, due anime. Da una parte c'è una profonda decadenza, mettiamola così. Un profondo buio interiore, d'altra parte c'è anche speranza e ricerca di serenità che andrebbe trovata e che si autorisolve. Ci piaceva perchél'ambiente del disco è notturno».

Voi siete animali notturni?

«Sì, siamo entrambe le cose. Quelli che se ne vanno a zonzo e staccano il cervello e le stesse persone che si torturano di notte riflettendo su cosa stanno facendo della loro esistenza».

Il secondo singolo che è uscito da questo album è Radio Radio. Questo è il vostro primo album con una major. Siete pronti a lanciare la vostra musica su un panorama più largo di quello a cui siete abituati?

«Questa è una visione un po' esterna della cosa. L'ambiente è lo stesso di prima, siamo con Woodworn che è il nostro management. Abbiamo scelto insieme di spostarci dall'autoproduzione perchénon avevamo le economie per permetterci determinati studi. Siamo andati insieme dalla Warner, a parlare come studio di registrazione. Non c'è quella tendenza, che è un retaggio anni '90, per cui la major arriva e stravolge un progetto. Le decisioni vengono riprese insieme in modo sereno».

Hai un uomo della Warner con la pistola puntata alla tempia?

«No, molto spesso si crede che dietro alla major ci siano uomini senza sentimenti. Sono persone che parlano e lavorano in musica e si può raggiungere una quadra. Noi siamo un band che suona insieme da 12 anni. Come vuoi cambiarci? Non è possibile. È questo il nostro mondo».

E per la radio, siete pronti?

«Non so se bisogna essere pronti. Non è importante che la canzone passi in radio, l'importante è che qualsiasi cosa la si faccia con trasporto emotivo e libertà. È un'esortazione alla libertà di tutti coloro che vivono in un ambiente musicale».

Da qualche anno sei fidanzato con Camihawke, un'influencer molto popolare su Instagram. Questo ha portato un po' di visibilità anche ai Fask. Il vostro pubblico si sta allargando?

«Crescere è l'aspirazione di ogni artista ma l'unico modo per ottenere un pubblico è fare la propria merda e credendoci. Gli unici compromessi che portiamo avanti sono quelli all'interno della band».

Nelle vostre interviste parlate spesso del patto R.E.M., un accordo ispirato alle band statunitense per cui dividete e decidete tutto per quattro.

«Esatto. Ci sono quattro persone che scelgono che una versione della canzone sia meglio di un'altra o che una linea di basso sia più bella di un'altra. È stimolante ma impegnativo. Siamo sempre dietro a combattere guerre fratricide».

Succede anche per i testi?

«Abbiamo discusso una settimana insultandoci perché io volevo mettere in un testo la parola crusca e agli altri non piaceva. Una lotta gigante perchè per me era importante quella parola. Davvero arriviamo a questi livelli. Meglio che si discuta di tutto che lasciare andare e diventare una band comandata a da un unico leader».

Avete detto che per questo album avete cominciato a usare anche due parole: cuore e amore.

«Le abbiamo utilizzate un paio di volte anche prima. Quando dici “amore” è davvero una parola soggettiva. Uno lo capisce in un modo, uno in un altro in base al momento che sta vivendo della propria esistenza. Sono parole stra abusate che risultano banali già nel dirle. O sei convinto del contesto, della frase per dare un significato forte e evocativo, oppure meglio non usarle. Potresti cadere nel cliché. Le parole sono importanti».

Nella presentazione dell'album dite che va ascoltato mentre si guida in autostrada, di notte. Come mai?

«Secondo me è un album “driving rock”. È un album che io mi immagino su questa autostrada deserta in Arizona, magari di notte, senza punti di riferimento. È un album che fa compagnia e ti fa riflettere. Per noi avere qualcosa da ascoltare che è coinvolgente è la base stessa del viaggio. L'idea è dare un album che avesse bisogno solo del tempo per ascoltarlo. L'autostrada, visto che è noiosa è un ottimo esempio».

Sul tuo profilo Instagram, qualche tempo fa, hai condiviso una foto dove dicevi che esattamente come da giovane, continui a provare un “senso di inadeguatezza”. È così anche per i Fask?

«Credo di sì. Un'instabilità interna nei confronti del mondo che si vive, della realtà, sia alla base dell'artista. Credo che qualcuno che sta bene non farebbe l'artista. Già il fatto che stai su un palco per cantare e farti giudicare non è normale. Ma non funziona così. Chi, sano di testa si metterebbe su un palco a cantare e raccontare alla sua vita?».

Quanto ha inciso Perugia su tutto questo?

«Ha cambiato la nostra musica in maniera radicale. Io mi immagino che essere un musicista a Milano o a Roma preveda sempre un po' delle sgomitate. Devi conoscere il proprietario del locale per farti mettere in scaletta, qui invece a Perugia è tutto normale. Io dico sempre che i nostri dischi, se io non avessi avuto gli amici che suonavano, se non ci avessero prestato gli strumenti, non avremmo avuto nemmeno gli strumenti».

Dopo oltre un anno e mezzo fermi, avete fatto un concerto sul palco del primo maggio. Uno schock?

«In termini strategici è stata proprio un idea del cazzo. Prima data dopo un anno e mezzo fermi davanti a 70mila persone con 9 minuti di sound check e due pezzi nuovi, ti assicuro che poteva essere gestita meglio come cosa.Potevamo avere un idea vagamente più tranquilla. Poi dopo è andata bene e siamo contenti. Alla fine il fatto che si suona insieme da così tanto aiuta a togliere ansie».

L'altro singolo estratto dell'album si intitolo Non potrei mai. Cosa non potreste mai fare nella musica?

«Una canzone che non ci piace».

E nella vita?

«Io, personalmente, tradire gli affetti, sia le amicizie che gli amori. Credo che sia la parte più importante della nostra vita, le persone che ci stanno intorno, che ci conoscono e ci amano. Sono la cosa più importante che abbiamo. Tradire questa fiducia che ci lega alle persone è una cosa che non potrei mai fare».

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