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Università, le intercettazioni: «Qua siamo tutti parenti». Come funzionava il “codice” dei concorsi

28 Giugno 2019 - 13:01 Fabio Giuffrida
Chi osava trasgredire rischiava sanzioni pesantissime: «Hanno pestato la me**a e ora se la piangono»

Un codice di comportamento «sommerso», questo è ciò che emerge dall’operazione “Università bandita” della Polizia di Stato di Catania che oggi ha portato alla sospensione dal servizio del rettore Francesco Basile e di altri nove professori, tutti indagati per associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Nell’inchiesta sono finiti anche altri 40 prof tra cui una docente di Cagliari.

Le indagini hanno accertato come nessuno spazio doveva essere lasciato a selezioni meritocratiche e nessun ricorso amministrativo poteva essere presentato contro le decisioni degli organi statutari. Per chi osava trasgredire, erano previste sanzioni severissime con tanto di ritardi nella progressione in carriera o esclusioni da ogni valutazione oggettiva del proprio curriculum scientifico.

Le intercettazioni

Si comincia con l’elezione del Consiglio d’amministrazione dell’ateneo catanese. Giacomo Pignataro, ex rettore dell’Università di Catania, e il suo successore Francesco Basile avrebbero scelto a tavolino i loro membri preferiti e così consegnato i “pizzini” a Giuseppe Sessa, presidente del coordinamento della facoltà di Medicina dell’Università di Catania, e Filippo Drago, direttore del Dipartimento di scienze biomediche e biotecnologiche, chiedendo loro di distribuirli agli altri componenti del senato accademico. Pizzini che poi sarebbero arrivati persino ai rappresentanti degli studenti (che, dunque, avrebbero accettato questo sistema, ndr).

«Abbiamo obbedito al rettore, questo è ciò che abbiamo fatto con una maggioranza bulgara» dice Giovanni Gallo, direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica, intercettato dalla Polizia di Stato. «Abbiamo votato coi pizzini, abbiamo fatto prima la riunione come nel peggior sistema democristiano» aggiunge Giuseppe Barone, ex direttore del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, «particolarmente implicato» nella vicenda poiché, come sottolineato dalla Digos, «uno dei concorsi riguardava suo figlio per il quale è stato un creato un posto» ad hoc.

E mentre Roberto Pennisi, direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania, concorda col presidente del concorso il numero di pubblicazioni da inserire nel bando, il prof Giuseppe Barone va oltre parlando al telefono direttamente con uno degli idonei al concorso: «Dieci domande con 7 idonei tra cui lei. Quindi ci vuole la preselezione, io le sparo alcuni nomi ma ora mi faccio dare tutto l’elenco e vediamo chi sono questi stro**i che dobbiamo schiacciare».

Le presunte ritorsioni

Carmelo Monaco, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania, invece, se la prende con un candidato che avrebbe fatto ricorso amministrativo per un concorso. In questo caso si passa addirittura alle ritorsioni sulla moglie di lui: «Non andrà mai in una commissione di dottorato né avrà mai un dottorando, hanno pestato la merda e ora se la piangono».

Le parole del rettore Basile

Particolarmente esemplificative, infine, le parole del rettore dell’Università di Catania Francesco Basile sullo stato in cui versa l’ateneo da lui diretto: «Ne ho uno al giorno che viene per un problema di parentela… perché poi alla fine qua siamo tutti parenti. Penso perché l’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città perché fino ad ora sono sempre quelle le famiglie».

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