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Mare Jonio ancora al largo. «Onde alte e acqua quasi finita: abbiamo bisogno di sbarcare»

30 Agosto 2019 - 21:12 Angela Gennaro
Il garante nazionale scrive a Conte: dal 28 agosto le persone soccorse dalla nave «si sono trovate sotto la completa e diretta responsabilità dell’Italia, Stato di bandiera del vascello, e, quindi, sotto la giurisdizione del nostro Paese»

Continua l’odissea della Mare Jonio: a sud di Lampedusa, in acque internazionali e senza un porto di sbarco. In balia di onde alte tra i due e i tre metri, ci sono ancora 34 naufraghi a bordo: alla nave della Ong (italiana) Mediterranea Saving Humans è stato proibito l’ingresso nelle acque territoriali.

Stanno salendo sulla Mare Jonio per portare provviste e verificare le condizioni dei naufraghi, dell’equipaggio e della nave, la portavoce di Mediterranea Alessandra Sciurba, l’armatore Alessandro Metz e Pietro Bartolo, europarlamentare e medico.

«Chiediamo, con forza, che questi naufraghi, insieme all’equipaggio, possano sbarcare il prima possibile», dice Mediterranea. «A bordo la situazione rimane precaria. Alle onde si è aggiunto un guasto all’evaporatore e al dissalatore che ci privano di acqua corrente: siamo senza rubinetti in cucina e bagno. Rimane solo una bottiglia di acqua».  

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Il garante scrive a Conte

Una situazione difficile: e arriva, per l’ennesima volta, l’appello del garante nazionale delle persone private della libertà. Mauro Palma scrive infatti al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per «sollecitare una soluzione» per la Mare Jonio.

Dal 28 agosto, infatti, le persone soccorse dalla nave «si sono trovate sotto la completa e diretta responsabilità dell’Italia, Stato di bandiera del vascello, e, quindi, sotto la giurisdizione del nostro Paese, titolare in via esclusiva della vicenda», fa notare Palma a Conte. «Una situazione che non può e non deve ulteriormente protrarsi».

Il garante invoca, proprio ora, proprio in questo momento storico, «una rinnovata convergenza su principi e valori che la nostra Carta costituzionale tutela come fondamentali e che lo stesso Presidente del Consiglio, nel ricevere l’incarico di formare il nuovo esecutivo, ha invocato», si legge nella nota. 

L’allarme

Questa mattina alle 9, il personale sanitario di bordo della Mare Jonio ha inviato alle autorità competenti una nuova richiesta urgente di entrata in porto della nave, a causa del rischio di emergenza igienico-sanitaria.

Lo comunica la stessa ong italiana Mediterranea Saving Humans: «A destare allarme è la mancanza di acqua destinata a uso igienico e alle altre necessità di bordo, mancanza che si protrae da ormai da 40 ore e di cui le autorità sono informate già dalle prime ore di ieri mattina», scrive in una nota l’organizzazione. «Questa emergenza non può evidentemente essere risolta con il semplice invio di bottiglie di acqua», chiosano da Mediterranea. 

Non solo: a preoccupare è anche «la presenza a bordo di rifiuti derivanti dal salvataggio e dalla permanenza a bordo dei naufraghi (come i vestiti impregnati di benzina e di deiezioni); il rischio di malattie comunitarie aggravato dalla mancanza d’acqua, con conseguenti possibili danni per la salute di naufraghi ed equipaggio».

Sbarcati a Lampedusa

Sono arrivati nel frattempo nel porto di Lampedusa intorno a mezzanotte le 64 persone sbarcate ieri in tarda serata dalla Mare Jonio dopo il via libera del Viminale. Sono donne, alcune delle quali incinta, bambini con i loro familiari e alcuni dei naufraghi più vulnerabili con esigenze sanitarie. I migranti sono stati fatti sbarcare sul molo Favaloro: zona militare, dove è inibita la presenza a civili e giornalisti. 

Le persone sono state trasbordate dalla Mare Jonio a terra su una motovedetta della Capitaneria di porto. Il comandante della nave della ong, nella mattinata di ieri, aveva chiesto alla Capitaneria di porto di Lampedusa di poter trovare riparo dal mare sottovento all’isola: «Senza sbarcare nessuno, solo per trovare riparo dal maltempo e dalle onde alte anche più di tre metri», ha spiegato.

Permesso negato ai sensi del divieto di ingresso in acque territoriali firmato ieri da Matteo Salvini – e controfirmato firmato anche dai ministri Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli.  

Per questo il trasbordo di donne incinta, bambini e naufraghi è stato fatto in acque internazionali, in mare aperto, in condizioni di pericolosità – come dimostrano i video girati per la Repubblica e Avvenire dal fotografo Francesco Bellina: onde alte, buio, e il passaggio da una imbarcazione all’altra senza salvagente. 

La riforma di Dublino

I casi delle navi Open Arms, e Ocean Viking, così come quelli in corso di Eleonore – della ong tedesca Lifeline e ancora in acque internazionali, a sud di Malta, senza un porto sicuro per i suoi 101 migranti salvati nel Mediterraneo centrale – e quello della Mare Jonio «continuano a mostrare l’urgente necessità di soluzioni prevedibili e sostenibili nel Mediterraneo», scrive il presidente della Commissione Ue, il lussemburghese Jean Claude Juncker nella lettera di risposta al leader dell’Europarlamento David Sassoli, dell’8 agosto.

«Questo fino a quando sarà trovata una soluzione strutturale con la riforma del Regolamento di Dublino ed il Sistema di asilo comune europeo, che deve restare priorità comune».

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