Il diciottenne, golden boy del tennis italiano, ha battuto l’australiano De Minaur, 18esimo nella classifica mondiale
Jannik Sinner, il golden boy del tennis italiano, si è confermato stella in ascesa del tennis mondiale. Il 18enne ha trionfato al Next Gen Atp Finals a Milano, battendo 4-1, 4-2, 4-2 il n°18 della classifica globale, l’asutraliano Alex De Minaur. «Non ho parole – dichiara Sinner ai microfoni di SkySport – ho provato solo a colpire la palla perché avevo davanti un gran giocatore. Sono molto soddisfatto, ho giocato il mio miglior tennis». «È stata una settimana clamorosa e una finale incredibile. Era molto importante partire bene, ho avuto qualche problema nei primi turni di servizio ma poi sono migliorato. Ora mi godo il momento e questa vittoria», dice il giovane campione. Tuttavia Sinner, malgrado il trionfo, non intende forzare la mano: «Coppa Davis? Non penso che andrò. Ho tanto lavoro da fare e sono giovane. Ho giocato tanto quest’anno ed è giusto concentrarsi sugli allenamenti».
Jannik Sinner, altoatesino di 18 anni (compiuti lo scorso agosto), ha dato più volte prova di essere l’astro nascente del tennis italiano. In soli 24 mesi ha divorato la classifica Atp, passando dal 1592esimo posto del gennaio 2018 al 93esimo posto, diventando il più giovane italiano della storia a raggiungere la top 100 mondiale. Sinner, nato a San Candido (Bolzano), ha iniziato a giocare a tennis a 7 anni. Da grande promessa dello sci alpino, all’età di 13 anni venne notato da Massimo Sartori, coach di Andrea Seppi, che lo invitò a trasferirsi l’accademia di tennis di Riccardo Piatti a Bordighera, in Liguria. E da lì, Jannik Sinner ha iniziato a raffinare la propria tecnica, torneo dopo torneo e allenamento dopo allenamento, sviluppando come punto di forza la velocità e la capacità capacità di controllare nervi e fisico.
«Voglio ringraziare la Germania. Un Paese che si mostra sempre disponibile a ricollocare e a ridistribuire i migranti che sbarcano sulle coste italiane. Che risponde sempre per prima». Sarebbe stato impensabile credere, fino a qualche mese fa, che ad aver pronunciato queste parole fosse stato Luigi Di Maio. Eppure è così: nel trentennale della caduta del Muro di Berlino, il ministro degli Esteri italiano ha incontrato il suo omologo tedesco tra sorrisi “complici” e progetti sul futuro dell’Europa. Il capo politico del Movimento 5 Stelle ha vestito impeccabilmente i panni dell’esponente governativo di uno degli Stati fondatori dell’Unione europea. Una linea che i più attenti avevano visto già delinearsi durante il forum economico di Davos, a gennaio di un anno fa, quando il premier Giuseppe Conte era stato ripreso a chiedere consigli alla cancelliera tedesca su come far riprendere quota al M5s. I tempi del tiro a segno contro le foto di “Angela Merkel nazista” durante le feste locali del Movimento sembrano essere definitivamente sepolti. Le stelle del Movimento sono pronte a confondersi ufficialmente con quelle della bandiera europea.
La Germania è «un modello per l’Ue sui migranti»
Sembrano ormai lontani i tempi in cui il Movimento supportava il pugno della Lega nel braccio di ferro contro Berlino e le Ong tedesche. Ma, appena qualche mese fa, i due ex vicepremier accusavano la Germania di ricollocare appena un terzo dei migranti arrivati in Italia e di non voler accogliere nei loro porti le persone salvate dalle navi della Sea Eye (Ong tedesca). Ad agosto di quest’anno, l’opinione del governo Conte I era che il governo tedesco di Angela Merkel stesse mandando all’Italia (testualmente) «segnali pessimi»: secondo l’esecutivo gialloverde, si era davanti a un vero e proprio «ricatto tedesco» in tema di ridistribuzione (Salvini dixit).
A tre mesi di distanza, con al governo la nuova formula alchemica di maggioranza M5s-Pd-Iv-Leu, l’atteggiamento del Movimento sembra essere molto meno ostativo. Di Maio ha ringraziato il Paese per «la sua disponibilità» nell’accogliere le persone sbarcate in Italia: «Che sia da esempio per gli altri Paesi europei», ha detto. Proprio sul versante migranti, a settembre del 2019 la cancelliera tedesca aveva annunciato l’organizzazione di una conferenza internazionale per la Libia, prevista per novembre (ma della quale non c’è ancora una data), per intervenire sulla situazione nel Paese dopo lo scoppio della guerra civile tra il governo di unità nazionale di Fayez al-Serraj e il generale della Cirenaica Khalifa Haftar.
«È indispensabile che l’Ue faccia di tutto per assicurarsi che la Libia non si trasformi in una guerra per procura», aveva detto Merkel, quando ormai il governo italiano era caduto e una nuova coalizione europeista a trazione Pd stava prendendo forma. «La Germania farà la sua parte, l’intera regione africana potrebbe essere destabilizzata se la situazione in Libia non sarà risolta». Una situazione che impatta non solo sul versante della stabilità nazionale, ma anche, come è chiaro, sugli equilibri geopolitici più in generale. Il Movimento, che anche nella sua seconda veste governativa ha mantenuto l’interesse per una de-escalation dei conflitti per frenare l’ondata migratoria, ha trovato stavolta in Berlino un alleato irrinunciabile. «Italia e Germania sono due Stati membri dell’Ue che non stanno interferendo con le dinamiche interne alla Libia», ha detto Di Maio, dando velatamente contro alla Francia (a lei sì) per il suo appoggio a Haftar.
«Nessuno vuole uscire dall’Euro»
Nell’incontro bilaterale con il suo omologo tedesco, Di Maio ha anche ribadito che nessuna forza politica presente nel Parlamento italiano ha interesse a uscire dall’Unione Europea. «Ormai la comunità politica italiana conviene sul fatto che tutti gli apparati e le istituzioni dell’Ue debbano essere rafforzati ma debbano restare», ha detto il capo politico del Movimento 5 Stelle, buttandosi alle spalle con un sorriso gli anni dell’antieuropeismo. Già prima di diventare ministro degli Esteri, Di Maio aveva capito che quell’Europa “dei Padroni”, di cui Angela Merkel era considerata l’emblema, era diventata la conditio sine qua non della stabilità nazionale. Nel giro di qualche mese, a partire dalla vittoria schiacciante alle elezioni del 2018, il Movimento è passato da essere “euroscettico” a pensare in maniera “eurocritica”, fino ad abbracciare il filoeuropeismo più istituzionale. «Magari fino a qualche anno fa poteva suonare strano», ha ammesso Di Maio. «E invece ormai la comunità politica italiana conviene che gli apparati dell’Ue debbano essere rafforzati, sì, ma restare».