Sono passati cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’attentato alla Banca nazionale dell’agricoltura di Milano in cui morirono 17 persone. In cinquant’anni – una generazione e mezzo circa – la politica e il paese sono cambiati radicalmente: il partito comunista non gode più di molto consenso, le contestazioni operaie sono meno frequenti e il terrorismo di matrice estremista non minaccia più la sicurezza pubblica come allora. Eppure il ricordo rimane, anche tra i Millienial e i Gen Z nati nei primi anni 2000. Al corteo a Piazza Fontana ha preso la parola, dopo il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, Carlo Arnoldi – il quale ha voluto ricordare come gli autori della strage del movimento di estrema destra Ordine Nuovo siano ormai noti – una giovane liceale di Voghera che, dopo aver raccontato del progetto scolastico incentrato sulla strage al quale ha partecipato, ha letto uno per uno i nomi delle 17 vittime. Per alcuni dei giovani presenti al corteo – qualche decina sparsa qua e là tra la folla che si è radunata in Piazza della Scala e poi ha marciato solennemente verso Piazza Fontana – la cosa più importante sarebbe fare luce sui misteri ancora irrisolti. C’è invece chi fa un parallelo con oggi, con le paure legate al terrorismo o la minaccia di un ritorno del fascismo. Tutti sembrano uniti nell’attribuire all’evento un’importanza fondamentale per la storia dell’Italia e nel sostenere che la sua commemorazione debba essere libera da ogni connotazione partitica. Ma per vedere più giovani bisogna aspettare la fine del corteo istituzionale quando un centinaio di membri di Milano antifascista è partito da piazza Cavour per giungere sul luogo della strage. In testa, lo striscione: «Strage di Stato, mano fascista, Milano non dimentica».
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