Polonia, ecco com’è andata veramente la storia dei cartelli omofobi

Alcuni pensavano che i cartelli fossero stati apposti dalle autorità locali: in realtà sono parte di un progetto per denunciare il clima d’odio e di repressione contro la comunità LGBTQ+ polacca

«Queste cose mi fanno venire il voltastomaco, la Commissione Europea dovrebbe prendere immediatamente i giusti provvedimenti contro queste pratiche disgustose e contro le autorità polacche che hanno installato questi segnali», scriveva indignato in un tweet l’ex primo ministro belga e attuale eurodeputato Guy Verhofstadt. Nel tweet in questione (poi rimosso), Verhofstadt commentava alcune foto ritraenti dei cartelli gialli istallati alle porte di alcune città polacche recanti la scritta «Zona libera da LGBT», scritta in polacco e tradotta in tedesco, russo e inglese.


Inizialmente si ipotizzava che i cartelli fossero stati apposti dalle autorità locali, anche sulla scia dei precedenti azioni contro le comunità LGBTQ+ del Paese portate avanti dalla destra sovranista e dai media filo-sovranisti. Tra queste, la più rappresentativa è quella riguardante il settimanale Gazeta Polska che nel luglio 2019 aveva iniziato a distribuire degli adesivi, in cui era riportata la scritta omofoba «Strefa Wolna Od LGBT» («Zona libera da LGBT», per l’appunto) e dove la bandiera arcobaleno era coperta da una croce nera.


Malgrado il divieto di distribuzione dello sticker sentenziato da un tribunale polacco, su denuncia del fotografo e attivista Bartek Staszewski, la testata ha continuato a diffonderli in allegato alle copie del proprio settimanale.

https://twitter.com/SylwiaGAbram/status/1154378804950966274

Bartek Staszewski, attivista LGBT polacco e autore del documentario Article 18, ha deciso di calcare la mano e di portare all’estremo quanto scritto sugli adesivi trasformandoli in veri e propri cartelli stradali, apposti sotto le insegne alle porte delle varie città. Inizialmente in molti avevano pensato che questi cartelli fossero stati messi proprio dalle autorità locali, ma Staszewski ha poi deciso di venire allo scoperto raccontando il lancio del suo progetto di sensibilizzazione e lotta all’omofobia.

«Mi è venuta l’idea lo scorso agosto – spiega l’attivista e fotografo a Noizz – quando si è cominciato a parlare di “zone libere da LGBT”. Sono rimasto scandalizzato e ho voluto chiamare le cose con il loro nome, quindi ho fatto fare 36 segnali in stile militare con quella frase in quattro lingue». Il tutto con lo scopo di «mostrare che le persone non eteronormative esistono non soltanto nelle grandi città, ma anche nei piccoli centri. Spero che questo possa coinvolgere l’opinione pubblica in maniera più ampia». 

Quel che preoccupa Staszewski è piuttosto il fatto che sia stato ritenuto verosimile da molte persone che quei cartelli fossero opera delle autorità polacche. «Sono più preoccupato per il fatto che siamo arrivati a una situazione in cui una cosa del genere potrebbe effettivamente accadere e diamo per scontato che i governi locali ne siano responsabili. Ciò significa che la situazione in Polonia è grave», chiosa l’attivista polacco.

NOIZZ | L’attivista Bartek Staszewski con uno dei cartelli «Zona libera da LGBT»

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