I videogiochi sono uno sport? Tre anni fa per il Coni era una «barzelletta». Ora si punta alle Olimpiadi

«Stia tranquillo questo problema non c’è» diceva il presidente del Coni nel 2017 quando gli veniva chiesto se i videogiochi sarebbero diventati sport olimpici. Non è andata esattamente così

Il 19 novembre del 2017 il presidente del Coni Giovanni Malagò era seduto su una delle poltrone della trasmissione Che tempo che fa. Mentre Fabio Fazio gli chiedeva se i videogiochi sarebbero potuti entrare alle Olimpiadi, Malagò etichettava come «una barzelletta» questa ipotesi. L’intervista, la trovate qui trascritta da Eurogamer, continua con Fazio che chiede a Malagò se è bravo con Space Invaders e il presidente che taglia ogni possibilità di vedere un pad sotto i cerchi olimpici: «Stia tranquillo questo problema non c’è».


Quasi tre anni dopo quella barzelletta non fa più tanto ridere. Nell’ultima settimana Malagò ha incontrato il presidente di Federesports Michele Barbone. È l’inizio ufficiale di un percorso che punta a capire come gli esport, i videogiochi competitivi, possono entrare a far parte degli sport olimpici riconosciuti in Italia. Questa infatti è l’indicazione che arriva dal Comitato olimpico internazionale (Cio), che il 28 ottobre del 2017 aveva diffuso un comunicato stampa in cui affermava che gli «esport possono essere considerati attività sportiva».


L’obiettivo di questi incontri è stato cominciare la procedura per riconoscere gli esport come «attività sportiva». Un percorso che deve essere approvato dagli uffici del Coni che si occupano di registrare i nuovi sport. Se tutti i passaggi quindi verranno completati, gli esport potranno entrare nella lista delle federazioni sportive riconosciute dal Coni, insieme alla Federazione italiana giuoco calcio o alla Federazione italiana sport invernali. Tutto questo per arrivare pronti a Los Angeles 2028, la prima Olimpiade in cui potrebbero debuttare gli esport.

Il ruolo di Federesports, l’organizzazione che punta allo «sport vero»

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Federesports non è però un’organizzazione che rappresenta il mondo degli esport in Italia. Almeno non per ora. È piuttosto una realtà vicina al Coni che si sta occupando di monitorare il settore degli esport per capire come organizzarlo per farlo diventare una federazione ufficiale. Il presidente è Michele Barbone, dirigente sportivo già presidente della Federazione italiana danza sportiva e componente di Consiglio Nazionale del Coni.

È lui a spiegare il ruolo di Federesports in questa fase della partita: «Federesports è una federazione che si è imposta dal 2017 di approfondire gli aspetti legati ai giochi elettronici sportivi. È nata per individuare fra tutti i giochi elettronici esistenti solo quelli che hanno una valenza sportiva. Il Coni però non ha dato l’incarico di fare questo monitoraggio a Federesport ma direttamente a me, perchè anni fa avevo seguito il percorso di riconoscimento della break dance».

Quindi. Federesports in questo momento si sta strutturando per rappresentare tutte le realtà che si occupano di esport in Italia, così da poter presentarsi in futuro come una delle realtà riconosciute dal Coni. Non è chiaro, al momento, quante e quali realtà siano interessate a riconoscersi sotto questa etichetta. Sul sito ufficiale della federazione si legge poi che l’obiettivo, in ogni caso, è quello di usare i videogiochi «per avvicinare i ragazzi allo sport vero».

Sforzo fisico, titoli da scegliere e interessi economici. Gli ostacoli per il riconoscimento degli esport

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Maurizio Miazga è il segretario nazionale di Federesports e si occupa degli aspetti tecnici legati al riconoscimento degli esport in Italia. Con lui affrontiamo i tre punti che hanno sollevato più polemiche in questo percorso. Il primo ostacolo è capire se usare dei comandi su un dispositivo elettronico, che sia la tastiera di un pc o il pad di una console, possa essere considerato sport: «La definizione di sport non è mai stata data dal Cio. Esiste soltanto in una legge della Comunità Europea e indica qualsiasi cosa in grado di portare al benessere psicofisico delle persone. Prendiamo il tiro a segno: non comporta sforzo fisico ma grande capacità ci concentrazione. Pensare che lo sport comporti sudore è antiquato».

C’è poi il problema dei videogiochi da selezionare per entrare sotto l’ala del Coni. Il mondo degli esport è vario quasi quanto gli sport tradizionali: si va da Fifa ai videogiochi di MotoGp, passando per i real time strategy come Starcraft II e gli sparatutto come Fortnite. «I giochi sotto la nostra attenzione – spiega Miazga – sono quelli che simulano sport reali. Queste sono le indicazioni del Cio. Al momento non c’è spazio per gli sparatutto. Ma io auspico che questa prima apertura sia solo un punto di partenza. C’è tempo per cambiare ma adesso la linea che è stata tracciata è questa».

L’ultimo punto è quello degli interessi economici. Non basta scegliere quali categorie di esport possono diventare sport olimpici, bisogna scegliere anche i titoli dei giochi. Basta pensare ai giochi che simulano il calcio, con l’eterna competizione tra Fifa e Pes due prodotti molto simili tra loro. Oltre il titolo poi bisogna capire su che piattaforma giocarlo. Per le case che sviluppano videogiochi è infatti consuetudine sviluppare lo stesso titolo per piattaforme diverse: soprattutto Play Station, Xbox e pc. In vista di una competizione olimpica, puntare su uno piuttosto che sull’altro è una decisione che si carica di interessi economici fortissimi. «Al momento stiamo valutando tutto. Solo per il calcio faremo partire molto presto più di un campionato. Ci sarà quello su Playstation 4 di Fifa e Pes, poi faremo anche il campionato su Xbox, sempre con Fifa e Pes. Noi non sposiamo la piattaforma o il gioco, noi vogliamo solo che i ragazzi competano in maniera sana».

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