Mondo di mezzo, perché per la Cassazione non è “Mafia Capitale”: «Non aveva regia mafiosa, ma i criminali erano collusi con i funzionari»

Le motivazioni della Cassazione sulla sentenza dell’ottobre 2019, che ha escluso il metodo mafioso per gli imputati nel processo “Mondo di mezzo”

Quella emersa dal processo Mondo di mezzo non era «un sistema mafioso», conferma la Cassazione nelle motivazioni della sentenza dell’ottobre 2019 sul caso che vedrà un nuovo appello per l’ex Nar Massimo Carminati e il ras delle cooperative romane, Salvatore Buzzi. Piuttosto secondo i giudici quel che è emerso è un «quadro complessivo di un “sistema” gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimoni della pubblica funzione». Non può definirsi mafia quella di Buzzi e Carminati perché non sono mai stati «evidenziati né l’utilizzo del metodo mafioso – scrivono i giudici né l’esistenza del conseguente assoggettamento omertoso, ed è stato escluso che l’associazione possedesse una propria e autonoma “fama” criminale mafiosa».


Le motivazioni della Cassazione sul processo Mondo di mezzo

Funzionari in mano ai clan

Il dato certo che è emerso dal processo è la collusione profonda tra pezzi della Pubblica amministrazione e i gruppi criminali in questione, soprattuto per quanto riguarda funzionari del Comune di Roma, con i quali gli «interessi del gruppo criminale ha trovato un terreno fertile da coltivare». Un sistema di collusione «generalizzata, diffusa e sistemica», basato sull’associazione criminosa che gestiva gli interessi delle cooperative di Buzzi «attraverso meccanismi di spartizione nella gestione degli appalti del Comune di Roma e degli enti che a questo facevano capo».


Quasi tutti condannati

Per quanto siano state alleggerite le posizioni di Buzzi e Carminati dalla sentenza della Cassazione, venendo meno l’aggravante del metodo mafioso, i giudici del Palazzaccio sottolineano come sia stata confermata: «la responsabilità penale di quasi tutti gli imputati per una serie di gravi reati contro la pubblica amministrazione». Gli ermellini di fatto confermano la validità delle indagini della magistratura romana, indicando proprio nel rinvio a un nuovo processo in appello per alcuni imputati la necessità di approfondire e nel caso perfezionare la valutazione di una condanna, in particolare per reati contro la pubblica amministrazione. Negli altri casi invece il rinvio all’appello bis è stato necessario per rideterminare le pene per gli appartenenti alle due associazioni criminose: una dedita alle estorsioni, l’altra guidata da Buzzi e Carminati che si occupava di contattare e corrompere politici e funzionari romani.

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