Coronavirus, un nuovo studio prova a far luce sulle cause delle forme gravi di Covid e sulla risposta scoordinata delle linee di difesa

L’età e le malattie pregresse fanno emergere qualcosa di profondo
che disturba il coordinamento delle cellule immunitarie

Abbiamo dato ormai per assodato che avere più di sessant’anni espone maggiormente al rischio di incorrere in forme gravi di Covid-19. Questa affermazione può essere estesa anche a tutti quelli che hanno patologie pregresse, come diabetici e cardiopatici. La comunità scientifica sta ponendo attenzione anche sui pazienti obesi, per i quali le normali terapie farmacologiche non sembrano funzionare.


Il nuovo Coronavirus, per qualche ragione ancora da studiare, determina negli individui positivi con queste caratteristiche, una sorta di cortocircuito che porta alla sovra-produzione di citochine, così determinando le forme gravi della malattia. Perché succede questo? 


Uno studio pre-proof (ovvero, che necessita ancora di qualche accorgimento prima della pubblicazione definitiva) disponibile online sulla rivista Cell, mostra il lavoro di ricerca condotto da Alessandro Sette e Shane Crotty, basato anche su un gruppo di 54 soggetti, di cui 24 gravi, 15 convalescenti e 15 non esposti. 

Come sottolineato nei limiti dello studio, elencati verso la fine del paper, si tratta di un campione ristretto, che necessiterà di ulteriori ricerche, ma i dati portano gli autori a suggerire qualcosa che era già nell’aria: l’avanzare dell’età e/o l’esposizione ad altre particolari patologie, determinerebbe una risposta scoordinata delle tre principali linee di difesa del nostro sistema immunitario.

Le nostre tre principali linee di difesa

Gli autori osservano due fatti che ai non addetti ai lavori potrebbero apparire contraddittori. I linfociti T (qui trattiamo le cellule CD4 e CD8, indicate con un “+” in apice), assieme alla produzione di anticorpi da parte dei linfociti B (immunoglobuline: IgA,IgM e IgG), sono protettivi. E se ormai è abbastanza pacifico che tutti i malati Covid-19 sviluppino gli anticorpi, maggiori dubbi li abbiamo nella durata dell’immunità

Non di meno, «le risposte non coordinate spesso falliscono nel controllo della malattia, con connessioni tra invecchiamento e risposte immunitarie adattive alterate al SARs CoV2», continuano gli autori.

«Sebbene la maggior parte delle infezioni da SARS-CoV2 non siano gravi – leggiamo nello studio – una percentuale significativa di pazienti richiede il ricovero in ospedale e si verificano molti decessi, con un aumento dei tassi di malattie gravi e fatali tra gli individui più anziani e quelli con condizioni mediche preesistenti come malattie cardiovascolari, obesità e diabete mellito di tipo 2».

La misura di questo fallimento nella risposta immunitaria sta nella rilevazione nel sangue periferico dei pazienti gravi di citochine. Studiare l’azione delle immunoglobuline è importante per capire il percorso che dalla convalescenza porterà alla guarigione senza più rischi di contagio. Le immunoglobuline sono inoltre in grado di riconoscere il virus dal suo antigene (la glicoproteina Spike) in modo che possa essere neutralizzato; la presenza in particolare di IgG è indice della formazione di una memoria immunitaria, in grado di proteggere l’organismo finché permangono.

Esiste anche l’immunità cellulare, determinata dalle già citate cellule T, le quali potremmo aver ereditato da precedenti malanni; queste contribuiscono nel complesso alla cosiddetta immunità adattiva. I ricercatori le distinguono più propriamente in due linee di difesa: le CD4 «cellule T helper» e le CD8 «citotossiche o killer». Per illustrare in che modo la loro azione – se coordinata – funziona, gli autori riportano quanto emerso da studi precedenti sulla epidemia di SARS:

«Quasi tutte le risposte anticorpali neutralizzanti, le risposte anticorpali durevoli e la memoria delle cellule B maturate per affinità dipendono dalle risposte di aiuto CD4 – spiegano i ricercatori – sono fondamentali per il successo della maggior parte dei vaccini. Nel modello [basato sui topi] di SARS, le CD4 da sole potrebbero fornire protezione contro l’infezione letale da SARS-CoV. Un ampio modello animale ha dimostrato l’importanza delle CD8 nell’immunità protettiva contro una serie di infezioni virali».

Quando le difese immunitarie non si mettono d’accordo

In guerra come nel nostro organismo, se ci sono più teste al comando delle truppe è un bel problema. Più generali devono essere capaci di coordinare tra loro le rispettive truppe, altrimenti il rischio è quello di dare al nemico una vittoria facile. Fuor di metafora, ci sono diversi valori riscontrati dai ricercatori nelle loro analisi, che mostrano potenziali indizi di quella che potrebbe spiegarsi meglio, proprio con un mancato coordinamento delle cellule T.

Gli autori, che si rifanno anche alla letteratura precedente, riportano per esempio «correlazioni tra basse frequenze di cellule T CD8 e CD4 naive, età e gravità della malattia Covid-19». Qui è importante distinguere tra cellule attivate in quanto sono entrate in contatto col virus, e quelle «ingenue», appena differenziatesi nel midollo osseo, che non hanno ancora riconosciuto il patogeno. 

I ricercatori suggeriscono che basse quantità di CD4 ingenue siano correlate alle forme gravi di Covid-19, contrariamente hanno osservato la stessa cosa nelle CD8 «poco ingenue» in bassa quantità:

«Le nuove risposte antigene-specifiche dipendono dal pool di linfociti naive – continuano gli autori – Un piccolo gruppo iniziale di CD8 e/o CD4 ingenue può limitare la probabilità di innescare una risposta rapida o grande delle cellule T specifiche del virus, a causa del materiale di partenza ridotto […] Associazioni statisticamente significative non sono state generalmente osservate tra gli anticorpi del SARS-CoV2 e la gravità della malattia. Nel complesso, sono state trovate associazioni tra forti risposte delle cellule T specifiche per il SARS-CoV2 e bassa gravità della malattia Covid-19».

In sostanza, per qualche ragione che i ricercatori auspicano venga indagata in successivi studi, un’azione non coordinata delle cellule del sistema immunitario, sarebbe associata a forme gravi di Covid-19. 

Noi ci chiediamo inoltre se studi del genere possano aiutarci anche a comprendere i casi di presunte ricadute della malattia, e il suo ritorno in forme più lievi. Approfondire questi aspetti sarà ad ogni modo fondamentale, sia nella produzione di futuri vaccini – garantendone efficacia e sicurezza – sia nello studio di farmaci appositi. Staremo a vedere.

Foto di copertina: NICHD | Killer T cells surround a cancer cell.

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