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Questione di Zoom: il giornalista del New Yorker sospeso per “atti osceni” in videoconferenza

20 Ottobre 2020 - 16:56 Redazione
Jeffrey Toobin, convinto di aver spento la webcam e il microfono del suo computer, aveva iniziato a masturbarsi durante la simulazione di un evento elettorale

«Ho commesso un errore stupido e umiliante, credendo di non essere inquadrato. Chiedo scusa a mia moglie, alla mia famiglia, agli amici e ai colleghi». Jeffrey Toobin, redattore del New Yorker, è stato sospeso dal suo giornale per una vicenda che ha causato non pochi imbarazzi alla prestigiosa testata americana. Durante una videoconferenza sulla piattaforma Zoom infatti il giornalista, sicuro di aver spento la webcam e il microfono del suo computer, aveva iniziato a masturbarsi.

In realtà, la telecamera era rimasta attiva e ha mostrato agli altri partecipanti della videocall gli atti osceni di Toobin. «Credevo di non essere visibile su Zoom. Pensavo che nessuno dei partecipanti alla videochiamata potesse vedermi. Ero convinto di aver disattivato audio e video», si è giustificato il giornalista. Dal New Yorker, attraverso la portavoce Natalie Raabe, la decisione è stata comunicata con poche parole: «Jeffrey Toobin è stato sospeso mentre indaghiamo sulla questione».

La videoconferenza altro non era che una simulazione di un evento elettorale in cui i partecipanti interpretavano l’establishment dei Repubblicani e dei Democratici. Oltre ad alcuni redattori del New Yorker, vi partecipavano anche giornalisti della radio Wnyc e producer di ambedue le testate. David Remnik, redattore del New Yorker, ha scritto una mail di chiarimenti agli altri componenti dello staff del giornali.

«Cari tutti, come forse avrete letto in vari articoli pubblicati oggi, uno dei nostri redattori, Jeff Toobin, è stato sospeso dopo un incidente avvenuto in una videocall su Zoom la scorsa settimana», si legge nella mail. La casella di posta elettronica professionale di Toobin, al momento, risulta disattivata. Anche il suo account Twitter risulta fermo al 13 ottobre.

In copertina Wikimedia | Jeffrey Toobin

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