Con questo ritmo servono 8 anni per vaccinare tutti in Calabria, 6 in Lombardia: uno studio sui tempi delle somministrazioni – L’intervista

di Giada Giorgi

Per l’immunità di gregge L’Emilia Romagna fa meglio di tutte con 1 anno e 266 giorni. Open ha raggiunto il professor Davide Manca a capo del team di ricerca del PSE-Lab del Politecnico di Milano. «Con over 80 e docenti le cose peggioreranno»

Di questo passo ci vorranno anni. Lo studio del Pse Lab del Politecnico di Milano calcola il tempo che ogni Regione d’Italia, alla luce dei ritmi attuali, potrebbe impiegare per raggiungere l’immunità di gregge necessaria alla sconfitta di Covid-19. I risultati che vengono fuori parlano da soli: per arrivare a vaccinare l’intera popolazione, solo con le due dosi di Pfizer attualmente disponibili e ai tempi registrati al 12 di gennaio, la Calabria impiegherebbe 8 anni e 299 giorni. Scenderebbe a 4 anni e 149 giorni per l’obiettivo del 67% di copertura necessaria all’immunità di gregge. È il caso peggiore in assoluto nella classifica realizzata dal team di ricerca del Politecnico, che non ha risparmiato di calcolare dati impressionanti per molte altre Regioni italiane.


SPE-LAB | Tabella regionale sulle somministrazioni di dosi aggiornata al 12 gennaio

La Lombardia, ancora tra le ultime nella lista del governo per somministrazioni effettuate, di questo passo vedrà l’obiettivo raggiunto tra 6 anni e 283 giorni per il 100% di copertura, 3 anni e 141 giorni per il 67%. Puglia, Basilicata e Bolzano andrebbero avanti per circa 6 anni, mentre solo 3 Regioni riusciranno a impiegarne meno di 4. La migliore nel calcolo è allo stato attuale l’Emilia Romagna: 1 anno e 266 giorni per raggiungere l’immunità di gregge, 3 anni e 167 giorni per vaccinare l’intera popolazione.


Anche sopra il Veneto, presenza fissa nei posti più alti della lista del ministero, che sarebbe indietro rispetto alla prima in classifica di un centinaio di giorni. Numeri strettamente legati alla capacità dimostrata dalle Regioni di far fronte all’arrivo delle prime forniture con ritmi di somministrazione ancora troppo bassi. L’arrivo di Moderna e, forse tra poco tempo anche quello del vaccino Astrazeneca, potrebbe cambiare lo scenario, certo, ma di quanto? Open ne ha parlato con il responsabile dello studio e capo dello PSE-Lab, il professor Davide Manca.

Professor Manca, quelli riportati nello studio sono tempi che fanno un certo effetto. Come nasce il calcolo e a che cosa è dovuta una situazione così incerta?

«Da fine febbraio 2020 abbiamo redatto un bollettino sulla pandemia a cui si è aggiunto il monitoraggio della situazione della campagna vaccinale. All’inizio quello che abbiamo riscontrato è stato un problema di totale impreparazione da parte di molte Regioni nel far fronte ai carichi in arrivo. Nonostante l’ampio preavviso, una settimana fa alcuni territori erano scandalosamente in ritardo con sistemi sanitari per niente pronti.

Da lì il monitoraggio ha continuato ad andare avanti sulla base di un semplice calcolo: guardiamo quant’è la velocità di somministrazione delle dosi nell’unità di tempo facendo il rapporto con la copertura a livello nazionale. Quella ideale sarebbe al 100% della popolazione, ma i numeri per l’immunità di gregge sono calcolati al 67% di copertura, meno di 42 milioni di abitanti».

Le percentuali di ritmo sono basse ma ci sono territori al di sopra del 100% di dosi somministrate: uno tra tutti il caso della Campania. È l’esempio a cui doversi allineare?

«Non proprio. L’efficacia del sistema campano sulle vaccinazioni è innegabile ma è bene capire che quell’oltre 100% di somministrazioni effettuate non è un “miracolo di San Gennaro”. In ogni fiala consegnata ci sono ufficialmente 5 dosi commerciali da poter utilizzare. Ma in realtà esiste un eccesso del 20%: con una fiala invece di 5 riusciamo a fare 6 iniezioni. E cioè il 20% in più. Ecco perché la Campania è riuscita ad andare anche oltre il 100% di fornitura ma mi consenta di dire che la cosa mi preoccupa».

Come può preoccupare un 100% di dosi somministrate?

«Nei termini di un equilibrio da trovare almeno per queste primissime battute. Mi lasci dire che in Campania hanno esagerato. Sembra assurdo ma se nel caso sfortunato le ulteriori forniture Pfizer non dovessero arrivare nei tempi stabiliti e subire ritardi, il termine dei 21 giorni oltre il quale non sarebbe più garantita l’efficacia della formula sarebbe messo a rischio. E il secondo richiamo totalmente inutile. Siamo in un momento in cui non abbiamo una verifica certa sull’efficienza del sistema di consegna, oltre che di quello produttivo. Questo a meno che il margine dei 21 giorni possa essere smentito e ampliato ad un periodo di tempo maggiore».

Tornando alle tempistiche preoccupanti che emergono dallo studio, quanto margine di recupero possiamo aspettarci sui tanti anni previsti dalla tabella?

«Non ho dubbi sul fatto che il margine di miglioramento ci sarà ma i problemi dello scenario futuro sono strettamente legati all’ampliamento della campagna vaccinale. Certo l’incognita delle autorizzazioni dei futuri vaccini rimane una costante, ma prendendo in considerazione i problemi logistici più interni, i punti critici saranno ancora altri. Consideriamo che in questo momento la maggior parte delle dosi sono somministrate negli ospedali a operatori sanitari. Un personale disponibile h24, per cui potenzialmente potrebbe essere possibile che alle tre di notte qualcuno venga vaccinato.

Quando passeremo, come è stato promesso, agli ultra 80enni è ben comprensibile che non si avrà tutto questo margine di tempo. A quel punto dovremmo capire quanto, in condizioni differenti, il sistema sarà capace di accelerare i ritmi. E ancora: quando passeremo da una vaccinazione dentro l’ospedale a quella dei medici di famiglia o ai medici convocati con concorso, saremo in grado di andare alla stessa velocità?

Per non parlare delle ideali 8 ore lavorate dai medici di base stessi: le altre ore saranno un tempo perso per la vaccinazione rispetto a quello impiegato ora. I punti critici da verificare Regione per Regione saranno molti dunque. Non ultimo quello della resistenza alle vaccinazioni: con gli over 80 e poi ancora con i docenti, il rischio del rifiuto della somministrazione aumenterà in modo inevitabile».

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