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Primule? No grazie. I padiglioni di Arcuri rifiutati dalle Regioni. Rischio focolai e menzogne eco-friendly dietro il flop

07 Febbraio 2021 - 09:10 Giada Giorgi
Nelle sale d'attesa 20 persone sosteranno in 40 mq stando a una distanza pericolosa per le norme anti Covid. 1 unico bagno per 18 operatori sanitari e un ritmo di vaccinazione a dir poco lento

Il bando è scaduto da pochi giorni e a breve le primule di Domenico Arcuri dovranno sorgere nelle piazze d’Italia, forse. I centri vaccinali col nome e la forma di un fiore progettati da Stefano Boeri, ora saranno nelle mani delle aziende vincitrici che li dovranno produrre. Ma le Regioni sembrano non guardare di buon occhio l’invasione. 31 le aziende che hanno inviato la proposta, diverse le amministrazioni locali che hanno cominciato a dire “no grazie”. «Abbiamo le nostre strutture e 1.500 farmacie pronte, ci servono vaccini e non primule» dicono dalla Regione Lazio. «Non stiamo aspettando nessuna primula, casomai altre dosi» fa eco Toti della Liguria. Ma di fatto il progetto di Arcuri va avanti. Come ormai noto, il tempo stringe e se all’estero già da settimane la soluzione per gli hub vaccinali è stata trovata in aeroporti e grandi strutture fieristiche, in Italia il governo continua a parlare di primule. Lo staff del Commissario per l’emergenza, raggiunto al telefono da Open, al momento non riesce a dare un riferimento preciso di scadenza per la valutazione delle candidature arrivate. «Ora è prevista l’analisi delle proposte e le dovute verifiche da parte della Commissione di esperti, attendiamo». Dopodiché, secondo quanto spiegato dal bando, la cui scadenza era già stata prorogata di una settimana, sarà diffusa la graduatoria degli operatori economici, incaricati di «allestire e ultimare le opere simultaneamente e nel più breve tempo possibile». Ma alla (forse) vigilia di una imponente realizzazione, il piano delle primule suscita ora non solo scetticismo ma anche un certo senso di pericolo.

L’assurdo rischio del contagio

Oltre alla questione dei costi, che pure affronteremo nel dettaglio, è del tutto paradossale come la sicurezza del luoghi di vaccinazione sia uno degli aspetti che dà più adito a timori. Il bando pubblicato sul sito del governo parla di 21 padiglioni (di partenza) a pianta circolare con una superficie complessiva di circa 315 mq e 20 metri di diametro. L’elenco di indicazioni presente è quello che le aziende vincitrici dovranno rispettare per la realizzazione. Altezza massima, numero di persone, tipologie di sale.

Su tutto potranno avanzare proposte o modifiche tranne su un aspetto, quello estetico: a detta del bando, la forma di primula dovrà essere rispettata « con assoluta immodificabilità». Guardando al disegno del futuro modello, le disposizioni di oggetti e persone all’interno dell’hub appaiono fin da subito piuttosto concentrate. A questo proposito è il professor Carlo Quintelli del Politecnico di Torino a confermare dal punto tecnico le forti perplessità. Ma capiamo meglio:

OPEN|Media di persone presenti all’interno del padiglione vaccinale

Come descritto dal bando e dall’ infografica in alto, i vaccinandi che entreranno nella primula verranno accolti in un primo spazio di 40 mq. La reception sarà il primo step: il paziente dovrà essere registrato e informato della procedura da seguire. Un’operazione che per motivi evidenti non potrà certo richiedere pochi secondi e che quindi, nonostante il meccanismo a prenotazione, potrà portare alla creazione di una fila di due o più persone. «Per quanto il flusso può essere razionalizzato, sarebbe impossibile garantirsi una ritmicità ultra cadenzata degli arrivi precisamente 10 minuti l’uno dall’altro» spiega Quintelli.

Ma la questione della fila, con distanziamento, non sarebbe poi troppo un problema se non fosse che affianco ai pazienti in attesa di essere ammessi stanziano 14 seggiole con altrettante 14 persone sedute. «E per affianco si intende lo spazio a malapena di 1 metro». Ai 14 vaccinandi che attendono per un massimo di 15 minuti di tempo, sono da sommare i (minimo) 2 pazienti in fila, più una persona o forse due (nel bando non viene specificato) addette alla postazione di accoglienza. «Appena entro vedrò almeno 20 persone insieme, corriamo dei rischi».

A spaventare è il pericolo del contagio. Quelle che dovrebbero essere le strutture rappresentative per eccellenza dell’efficacia del piano vaccinale, si presentano al contrario come luoghi pericolosi. «Negli ospedali sono i richiesti almeno 3/3.30 metri di altezza con 6 o 7 metri di distanza tra reception e sala d’attesa. Nelle primule si parla di un’altezza domestica: 2.70. E con le distanze già descritte, è un’ammassata».

L’assurda morale è che si rischia un “cluster primula”. E tutto questo non di certo in una struttura da campo ma in un contesto di progettazione ben più oneroso. «Già il fatto che la percezione riguardo alle strutture sia quella del rischio è qualcosa di molto controproducente rispetto all’obiettivo sbandierato dal governo di tranquillizzare e attrarre la popolazione» riflette Quintelli. Andando avanti nella visita ideale alla primula vaccinale, saranno 6 le postazioni adibite alla vaccinazione. 4 le persone consentite per ogni sala attrezzata, tra operatori sanitari, paziente e accompagnatore eventuale.

A proposito di operatori sanitari si stima una presenza di infermieri e medici pari a 18 persone per primula, tra sala iniezione, reception e sala preparazione vaccini. Per loro sarà disponibile un unico bagno. Due quelli pensati per i 50 soggetti che di media entreranno e sosteranno nella primula, gli stessi che verranno adibiti anche alle persone con disabilità. «Sono disposizioni da strutture da campo e non da strutture che costano 400 mila euro l’una» tuona Quintelli.

Più costose di una partita di vaccini

Sui costi la questione si fa ancora più dolente. Le 21 primule indicate come base di partenza dal bando di Arcuri avranno un prezzo di circa 400 mila euro ognuna. Moltiplicato per 21 capoluoghi di Regione o Provincia Autonoma si arriva a oltre 8 milioni di euro (8.400.000 euro). Una cifra di partenza tutt’altro che modica e andando avanti le cose peggiorano. L’appalto potrebbe lievitare fino ad una cifra gigantesca se la struttura commissariale dovesse dar fondo all’opzione dei 1.200 padiglioni, come si legge nello stesso bando. 

Quello fornito dal governo difatti è un range di produzione piuttosto largo: «dai 21 fino ai 1.200 padiglioni da realizzare con il consenso delle singole amministrazioni». La spesa per un numero così ampio di primule ammonterebbe a circa mezzo miliardo di euro. Un’enormità che supera di gran lunga la spesa fatta finora per le dosi di vaccino. E che alla luce delle ingenti risorse elargite per mascherine, siringhe e diluenti, risulta oggi un ulteriore triste sperpero.

Al contrario di quanto sostenuto da Boeri e da Arcuri, sui costi, così come sulla sicurezza, le alternative ci sarebbero state. E continuano ad esserci. Era dicembre quando Boeri rispondeva all’obiezione di Open, e non solo, sul possibile utilizzo per le vaccinazioni di strutture già presenti. Perché mettere in piede intere strutture da capo? La risposta era stata piuttosto decisa: «Sa quanto ci costerebbe ristrutturare edifici dismessi e dotarli già solo di un nuovo impianto? Quelli già attrezzati non sarebbero abbastanza per rispondere alla domanda e poi vuole mettere una primula con un freddo capannone fieristico?».

Troppo poco poetico certo. Ma alla luce di quanto successo finora, quello che risulterebbe davvero poetico sarebbe la proposta di un altro tipo di bellezza, quello dell’efficienza. In Germania, Gran Bretagna, o per andare più lontani in Cina, le grandi strutture civili e industriali sono state messe in moto a costi ben inferiori di quelli previsti dal progetto italiano, senza contare il grande problema del ritmo di somministrazione. Ma facciamo meglio il paragone con i numeri.

Ogni padiglione vaccinale ha 6 postazioni destinati alle iniezioni, con un costo di circa 60 mila euro cadauna. «Se scegliessimo un padiglione fieristico o di una sala civica potremmo contare senza esagerare almeno 30 postazioni» aiuta a riflettere Quintelli. Rispetto alle 6 postazioni garantite dalla primula in spazi del tutto rischiosi, nei grossi edifici aumenterebbe non solo il numero ma anche i metri quadrati garantiti, evidentemente molti di più. Trattandosi di una struttura già precostituita e quindi con un tetto, delle porte, ecc.., la spesa partirebbe già da una base inferiore. «Aggiungendo 30 lettini, 30 desk, una sessantina di seggiole, 140 paraventi, non si arriverebbe a più di 2.000 euro a metro quadrato per ogni postazione», calcola Quintelli. Al momento quelle della primula risultano costare ben 30 volte di più.

A quelli già elencati si aggiungeranno poi costi di riscaldamento, condizionamento, energia elettrica e, non ultima, di custodia. «Non si potranno mica lasciare dosi di vaccino in un padiglione incustodito in una piazza pubblica, giorno e notte, senza un minimo di guardanìa». Nel caso dei costi generali il professore stima un 50% di spesa in meno rispetto alla singola primula. O addirittura inferiori. «Se siamo all’interno di volumi grandi e molto alti, in mesi come aprile e maggio non ci sarà il bisogno né di riscaldare più di tanto né di condizionare» continua a spiegare, «ma se siamo in una struttura tendata, alta 2.70 metri, mi basta una temperatura all’esterno di 22 o 23 gradi, con sole diretto, ad avere subito il bisogno di condizionare».

Quello che ci si chiede a questo punto è se il Commissario Arcuri abbia valutato tutto questo e se tuttora, mentre la Commissione tecnica è a lavoro per valutare le offerte, sia davvero consapevole delle risorse da dover utilizzare e mettere in campo. Su quanto detto da Boeri circa i capannoni dismessi la risposta è arrivata nelle ultime ore in modo piuttosto evidente dalle stesse Regioni. Le singole amministrazioni parlano di 2.300 posti disponibili per le vaccinazioni, il noto circuito Uci Cinema ha messo a disposizione 433 sale cinematografiche. Pubblici e privati starebbero dimostrando di poter combattere la guerra anche senza primule. «Anche per questo l’ultima cosa che andrei a pescare è un capannone abbandonato da 20 anni dove dovrei fare tutti gli impianti», critica Quintelli, sottolineando quanto le valutazioni fatte finora da Arcuri e il suo staff siano di una «superficialità imbarazzante».

Anche per le primule l’incubo delle poche vaccinazioni

Nelle sei sale di vaccinazione il tempo previsto per ogni paziente dovrebbe essere intorno ai 15 minuti, tra anamnesi e momento dell’iniezione. Una stima che, per quanto presa come riferimento, in casi di persone più anziane o con difficoltà fisiche, potrebbe allungarsi. Tenendo comunque fermi i 15 minuti di tempo a somministrazione, sono 6 le vaccinazioni che risultano possibili ogni ora. Per 24 ore, si andrebbe dalle 200 alle 240 al giorno. Un ritmo, proprio come sottolineato da Open per le vaccinazioni in ospedali e Rsa, che non sarebbe affatto sufficiente a garantire la cifra promessa del governo dei 20 milioni di persone vaccinate a giugno. Per vaccinare una città di 80/90 mila abitanti in 4 mesi occorrerebbero fino a 50 padiglioni. E grossa spesa annessa.

Non si salva nemmeno l’eco-friendly?

La lettera a cui Arcuri continua a non rispondere

«Abbiamo mandato una lettera al Commissario straordinario proponendo un’idea di progetto ben più economica delle sue primule, quasi il 70% di risparmio». Ad aspettare l’esito del bando ormai scaduto è il presidente di Feu, Filiera Eventi Unita, Adriano Ceccotti. L’associazione che difende e promuove le 1.200 imprese sparse in tutta Italia legate all’indotto degli eventi. Una categoria martoriata dal blocco delle attività causa pandemia e che vive da mesi in una perenne “zona rossa”. Oltre alla possibilità dunque di rimettere in moto parte del settore, prendere in esame la proposta fatta da Feu, con circa 20 categorie di professionisti differenti al suo interno, sarebbe stato da parte di Arcuri quantomeno doveroso. Soprattutto se alla spesa di 80 mila euro ipotizzata da Feu l’alternativa scelta è stata quella di una primula da 400 mila.

«Le nostre aziende hanno tutto quello che sarebbe potuto servire per mettere in piedi strutture efficienti. A pianta rettangolare molto più funzionale rispetto a quelle circolari scelte, con il grande privilegio di essere sparse per tutto il territorio nazionale», continua Ceccotti, «per cui allestire simultaneamente le prime 21 primule nei capoluoghi di Regione sarebbe stato molto più semplice rispetto all’ipotetico lavoro che invece ora dovrà fare una sola azienda o poche altre».

Feu si dichiara tuttora incredula rispetto alle condizioni di partecipazione imposte dal bando: «si richiede di aver eseguito forniture analoghe (stand fieristici, strutture movimentabili ecc) negli anni 2017-2018-2019 con un esercizio finanziario pari al valore di 154.791.000 di euro, e l’obbligo di impiegare un massimo di 30 giorni nella realizzazione almeno 21 padiglioni temporanei». Giorni poi rettificati dallo stesso Arcuri e diventati 45. Cifre imponenti che non hanno permesso alle aziende di Feu di partecipare al bando indetto dal governo.

La denuncia a metà gennaio aveva ottenuto anche un’interrogazione parlamentare e le imprese speravano di poter portare avanti la questione sul tavolo del governo, «ma con la crisi in corso si è tutto nuovamente bloccato», spiega il presidente Feu. «Ci fanno aprire ma poi non ci fanno fare eventi, ci danno i ristori ma poi ci impongono classificazione Ateco. Questo è il nostro lavoro e avremmo potuto dare una mano davvero seria alla campagna vaccinale», continua Ceccotti.

A distanza di settimane, da Arcuri nessuna risposta, e quello che ci si chiede è il perché si sia rifiutato, ancor prima del bando, di prendere quantomeno in analisi un progetto molto più economico ed efficiente.

Quello che fa il mondo: grandi hub, autobus e drive in

Il Paese europeo più avanti in assoluto per gli hub vaccinali è la Germania. Erano i primi di novembre quando il governo tedesco rendeva conto già dei primi passi. A fine dicembre sono stati aperti i primi 15 grandi centri in tutto il Paese. Grandi strutture fieristiche, ex-aeroporti, strutture industriali, ex-scuole, municipi, sono stati messi a disposizione della popolazione. insieme agli hub già pronti in attesa di essere aperti non appena le dosi torneranno ad arrivare al ritmo previsto. In Nordreno-Vestalia sono 53 i centri allestiti, altri 50 nella bassa Sassonia, fino all’Erika Heß, il palaghiaccio di Berlino inaugurato negli ultimi giorni, con una capacità di 1.300 vaccinazioni ogni 24 ore.

Il modello tedesco si rifà in grande parte a quello cinese. Le grandi macchine vaccinali della Cina riesco in alcuni casi a contenere più di 150 postazioni di vaccinazione. Provando a fare gli stessi conti che abbiamo fatto con le primule italiane, con 150 postazioni sono garantire circa 6 mila somministrazioni al giorno. In 10 giorni 60 mila dosi somministrate, in 15 giorni un’intera città di 90 mila abitanti. L’organizzazione prevede addirittura la presenza di una postazione di rianimazione.

In Francia ci si è posti il problema anche dei piccolissimi centri. Per le zone montane e per i paesi più isolati, autobus attrezzati raggiungono gli abitanti di chi è a 20 km lontano dal centro. Come racconta Le Monde, nei villaggi della Grande Reims, il Vacci’bus in servizio dal 19 gennaio sta consentendo alle persone anziane di proteggersi da Covid-19 il più vicino possibile alle proprie case.

Negli Stati Uniti si è ricorso invece ai drive in. Le tende militari allestite in enormi spiazzi accolgono le macchine dei pazienti che senza nemmeno dover uscire dall’abitacolo, proprio come avviene per i tamponi, ricevono la puntura di vaccino sul braccio. A distanza di pochi metri un posteggio dedicato all’attesa post somministrazione.

Drive di vaccinazione a Denver in Colorado

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