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Rientro a scuola imposto dal governo, la protesta dei presidi lombardi: «Senza trasporti e spazi adeguati, siamo costretti a concedere più Dad»

24 Aprile 2021 - 11:52 Davide Gangale
«Accanimento burocratico» sulle percentuali e nessun piano per lo screening degli studenti. Mentre i genitori dei ragazzi pendolari denunciano la mancanza di mezzi pubblici per tornare a casa

Il governo Draghi con il decreto sulle riaperture ha deciso che a partire dal 26 aprile le scuole superiori devono tornare in presenza almeno al 70% nelle zone gialle e arancioni. La Lombardia si appresta a diventare gialla e il 22 aprile il prefetto di Milano, Renato Saccone, ha incontrato i dirigenti scolastici, chiedendo di far entrare il 50% dei ragazzi entro le 8 e il restante 20% dalle 9.30 in poi. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi, come racconta a Open Maria Grazia Decarolis, presidente di Andis Lombardia, sezione regionale dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici. Anche perché l’indicazione arrivata dalla prefettura, dunque dall’ufficio che rappresenta il governo sul territorio, è di riaprire al 70% «con una flessibilità dell’1%» in più o in meno sui due scaglioni. Ovvero: 49% alle 8 e 21% dopo le 9.30, oppure 51% alle 8 e 19% dopo le 9.30.

Tutto qui il margine di manovra concesso ai presidi dell’area metropolitana, al netto del fatto che chi non potrà garantire il distanziamento con il 70% dei ragazzi in presenza, per esempio perché non dispone di aule sufficientemente grandi, sarà “giustificato”. E se per alcuni l’1% di flessibilità rappresenta un’opportunità, un margine che per quanto ristretto consentirà di non essere poi così tassativi e di non dover dividere le classi, per Decarolis si tratta di una rigidità difficilmente comprensibile: «Io sono molto contenta di far rientrare gli studenti, ma che senso ha introdurre un’oscillazione del genere? Posso apprezzare che mi venga data una cornice di riferimento precisa, ma accanirsi in modo così minuzioso sulla percentuale mi sembra un eccesso di burocrazia». Anche perché la scuola è un’organizzazione complessa e quando si decide di apportare un cambiamento così forte, con un blocco di studenti che inizia a fare lezione in un secondo momento, «le difficoltà sono innumerevoli».

Ecco alcuni esempi, che arrivano proprio dalla scuola diretta dalla professoressa Decarolis, l’Istituto di istruzione superiore “Italo Calvino” di Rozzano e Noverasco. Gli indirizzi presenti sono due, uno tecnico e uno liceale, entrambi con all’incirca lo stesso numero di studenti. Decarolis ha deciso che l’intero indirizzo tecnico entrerà alle 8 e uscirà alle 13.10, mentre per quanto riguarda l’indirizzo liceale le prime e le quinte classi entreranno alle 9.50 e usciranno alle 15.10. Le seconde, le terze e le quarte resteranno invece in Dad, con orario di inizio fissato sempre alle 9.50.

La prima difficoltà è rappresentata dalle resistenze di studenti e famiglie coinvolti dal secondo turno. E non si tratta di capricci: «In molti casi parliamo di resistenze legittime», spiega Decarolis, «perché legate alla difficoltà di trovare mezzi di trasporto pubblici per tornare a casa. Soprattutto per gli studenti pendolari, uscire alle 15 è un brutto orario. Significa non trovare quasi più niente. Non mi risulta al momento che il sistema dei trasporti pubblici sia stato riorganizzato per venire incontro alle loro esigenze e anzi, molte famiglie mi hanno scritto per segnalare problemi con i rientri». Sul fronte dei trasporti, la prefettura ha invitato le scuole a suggerire agli studenti di fare ricorso alla mobilità leggera, ovvero quando possibile a muoversi in bicicletta. Nelle scuole verrà inoltre promosso un monitoraggio gestito direttamente dall’Ats: nel caso in cui uno studente dovesse risultare positivo al Covid, a lui e ai suoi genitori verrà chiesto se hanno preso mezzi pubblici nei giorni precedenti.

La seconda difficoltà ha a che vedere con l’organizzazione delle presenze degli insegnanti, in particolare quelli di sostegno. Spiega sempre Decarolis: «Per questa categoria di insegnanti è più complicato, perché ci sono studenti con bisogni educativi speciali che avranno un tipo di orario e altri che ne avranno un altro. Occorre quindi rivedere tutti i turni cercando di non creare troppi disagi ai professori». Nel corpo docente, in ogni caso, nessuno pensa che dal 26 aprile ci saranno problemi insormontabili. Ma sicuramente «qualcuno avrebbe trovato più comodo continuare a fare lezione in presenza al 50%».

L’onere di trovare soluzioni organizzative ricade in buona sostanza sulle spalle dei singoli dirigenti scolastici. Prosegue Decarolis: «Ci siamo supportati molto a vicenda all’interno dell’associazione, ma un aiuto dall’alto, dalla Regione o dal ministero dell’Istruzione, non lo abbiamo mai percepito». I presidi fanno quindi capire che si muoveranno con una certa flessibilità aggiuntiva, finalizzata al progetto di rientro. Insomma: non intendono obbedire alla lettera alla soglia del 70%. Anche perché ci sono istituti in cui quell’1% di flessibilità sui due scaglioni può corrispondere in pratica a soli «tre o quattro studenti virgola qualcosa» in più o in meno: «Dire che circa il 70% degli studenti deve tornare in classe va bene, qualunque dirigente scolastico è chiamato a fare delle scelte. Ma è insensato costringerci a fare queste scelte al centesimo. Serve buonsenso su entrambi gli scaglioni, sia per chi inizia a fare lezione alle 8, sia per chi comincia dopo le 9.30».

Altri due aspetti sono degni di nota. Il primo, positivo, riguarda la percentuale di personale scolastico vaccinato. Racconta infatti Decarolis: «Non so dare un numero preciso, ma nel mio istituto tutti quelli con cui parlo mi hanno detto di aver ricevuto il vaccino e attendiamo con ansia di sapere quando verrà fatto il richiamo. All’inizio di questa settimana sono stati chiamati per la somministrazione anche due miei collaboratori che non potevano ricevere AstraZeneca e sono stati immunizzati con un preparato differente. Siamo quindi relativamente tranquilli».

Ben diverso il discorso per quanto riguarda invece lo screening della popolazione studentesca: «Non mi risulta che in prefettura si sia parlato di questo argomento e alla luce dell’esperienza che ho accumulato nell’ultimo anno scolastico la mia impressione è che le Ats siano in grande affanno. Sono in difficoltà già nel fare i tamponi ai compagni di classe di un positivo, figuriamoci nell’organizzare una campagna di screening di massa. Spero però che possano trovare risorse sufficienti per fare a tutti gli studenti tamponi periodici affidabili e sarei ben contenta se riuscissero a organizzarsi di conseguenza».

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