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Martina Rossi morì per sfuggire a uno stupro: «nel disperato tentativo di scappare». Le motivazioni dei giudici che spazzano via l’ipotesi del suicidio

14 Maggio 2021 - 20:21 Redazione
«La giovane venne aggredita da entrambi gli imputati. Questa è l'unica verità processuale in grado di soddisfare la valenza di tutti gli indizi esaminati». Totalmente esclusa l'ipotesi del suicidio: «La studentessa era ricca di progetti»

Ora è scritto nero su bianco sulle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello. Quella mattina del 3 agosto 2011 Martina Rossi, studentessa di Genova, precipitò della camera 609 dell’albergo Santa Ana di Palma di Maiorca, in Spagna, «nel disperato tentativo di sottrarsi a una aggressione a sfondo sessuale posta in essere in suo danno da entrambi gli imputati». Tutti gli elementi indiziari raccolti in questi anni convergono nell’affermare questa versione dei fatti «oltre ogni ragionevole dubbio». Queste le parole che aprono le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Appello di Firenze lo scorso 28 aprile ha condannato, in un processo bis, a 3 anni di reclusione, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenza sessuale di gruppo.

«Martina Rossi venne aggredita da entrambi gli imputati. Questa è l’unica verità processuale in grado di soddisfare la valenza di tutti gli indizi esaminati», sottolinea il presidente della Corte Alessandro Nencini. Nelle motivazioni si legge che quella notte Vanneschi e Albertoni erano «sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, probabilmente hashish». Nel momento in cui ci fu il tentativo di violenza sessuale la giovane «reagì con forza a questa aggressione ingaggiando, sicuramente con Alessandro Albertoni, una colluttazione a seguito della quale provocò dei graffi al collo dell’imputato». Segni di collutazione sono stati infatti rinvenuti sul corpo della vittima. Si tratta di lesioni che – i medici hanno stabilito – non possono essere compatibili con una caduta nel vuoto.

Se nel processo bis una verità processuale è stata accertata, manca ancora però la ricostruzione chiara della dinamica dei fatti di quel 3 agosto 2011. Si legge ancora nelle motivazioni: «Il processo non ha accertato con esattezza le modalità dell’aggressione, ancorché le lesioni personali inferte dalla ragazza ad Albertoni, unitamente alle lesioni presenti sul corpo di Martina Rossi incompatibili con l’evento della precipitazione, evidenzino che una colluttazione vi fu».

Il confronto con gli imputati non ha affatto aiutato alla ricostruzione dei fatti. La Corte d’Appello definisce la loro versione: «Un racconto nella quasi totalità falso e assolutamente privo di credibilità». I giudici scendono nel dettaglio nelle motivazioni della sentenza e menzionano le varie lesioni rinvenute sul corpo della studentessa: «Per quanto attiene al quadro lesivo all’occhio sinistro, alle labbra, alla spalla sinistra, questo certamente non è compatibile con la precipitazione dal terrazzo ma lo è invece con una colluttazione tra Martina Rossi e Alessandro Albertoni all’interno della camera 609».

Escluso il suicidio

Una giovane studentessa ricca di progetti per il futuro. Per i giudici il quadro delle condizioni psicologiche di Martina è quello di una ragazza «che molti testi nel corso del processo hanno definito solare, soddisfatta del proprio percorso universitario, ricca di progetti per il proprio futuro da condividere con le sue amiche di sempre». Un profilo che dunque si dimostra incompatibile con l’ipotesi del suicidio e quindi con la ricostruzione delle due difese. «Il quadro che ne esce è quello di una ragazza poco più che ventenne, ancora nel pieno delle progettualità della vita sociale e affettiva – si legge nelle motivazioni della sentenza -, una ragazza normale alla quale nell’ultimo periodo della propria vita erano accadute soltanto cose positive che la motivavano nel suo percorso di vita». «Un quadro incompatibile – si conclude – con le condizioni di una ragazza che, secondo la ricostruzione degli imputati, avrebbe deciso senza alcun motivo apparente di mettere fine alla propria vita».

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