Galli a gamba tesa: «Sono sconcertato sulla terza dose. È una sparata politica: ne parla solo la casa farmaceutica»

Il direttore delle Malattie infettive del Sacco, al momento, non è intenzionato a sottoporsi al terza somministrazione: «Bisogna che mi convincano che non ho più una risposta immune»

Dopo 270 giorni dalla seconda dose di vaccino anti Coronavirus, scade la validità del Green pass. Almeno, questo stabiliscono le regole. Per ottenere la proroga del certificato verde, ad oggi, sarebbe necessario sottoporsi a un terza dose. Ciò scatena non poche perplessità in Massimo Galli, che vede i pericoli di un approccio più burocratico che scientifico sulla questione: «Io sono stato vaccinato il primo giorno utile e quindi la mia vaccinazione scade come uno yogurt, secondo una concezione che per me è di burocrazia sanitaria e non basata su base scientifica. Prima che mi convincano dell’opportunità di rivaccinarmi, con la terza dose con il vaccino impostato su un virus che girava a Wuhan a marzo 2020, bisogna che mi convincano che non ho più una risposta immune». Ai microfoni di Morning News, il direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano vede il rischio di «far fare a a tutti i sanitari d’Italia da elemento di sperimentazione per la terza dose con un’impostazione burocratica – chiarisce -. Se sono queste le intenzioni personalmente sono contrario».


Si dice letteralmente «sconcertato» sull’inoculazione della terza dose, sottolineando che a parlarne è soprattutto la «casa farmaceutica» produttrice del vaccino. Basandosi, però, su un numero di dati particolarmente limitato. «Sicuramente provoca un’impennata di anticorpi ma quello che dobbiamo chiederci è: serve? O meglio serve andare a farla a chi ha ancora una risposta immune più che accettabile? Il punto è che non si vuol andare a vedere se la gente ha risposto o meno al vaccino e questo secondo me è un importante errore». Galli ritiene che le ipotesi sulla terza dose sono più «una sparata» con contenuti «di ordine soprattutto politico. Serve a tranquillizzare la pubblica opinione dicendo: male che va, faremo una terza dose». Ma dal suo punto di vista, conclude, «sarebbe più utile occuparci di capire lo stato infettivo delle persone immunodepresse e capire se gli operatori sanitari che sono stati vaccinati per primi hanno ancora una risposta immune. Altrimenti continuiamo a fare cose inutili con imposizione, come ad esempio vaccinare i guariti».


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