Gali Peleg, 29 anni, è la sorella di Tal, mamma di Eitan Biran, l’unico sopravvissuto alla strage della funivia. Ed è figlia di Shmuel Peleg, l’uomo che ha preso con sé il bambino da Travacò Siccomario in provincia di Pavia per portarlo in Israele dove, secondo la famiglia paterna, lo stanno sottoponendo «a un lavaggio del cervello» per restare lì. Mentre la zia e legale custode del bimbo Aya Biran è sbarcata a Tel Aviv per assistere all’udienza del tribunale sul caso, in un’intervista rilasciata a La Stampa Gali svela le sue intenzioni: «Voglio adottarlo e crescerlo come figlio mio. Mia sorella era anche la mia migliore amica. Eitan è la cosa che più mi importa, l’unica che interessa a me e alla mia famiglia». Gali Peleg, che ha anche la cittadinanza italiana («Ma l’Italia non è casa mia. La mia famiglia è qui»), dice che aveva un patto con la sorella riguardo Eitan e che spera di raggiungere un punto d’incontro con la famiglia Biran: «Vorrei credere che riusciremo a raggiungere un qualche accordo, un’intesa. Noi siamo pronti a mettere tutto da parte. Vogliamo mostrare loro che per Eitan è meglio stare qui, come volevano i suoi genitori, che gli hanno sempre detto che a breve sarebbero tornati in Israele».
Peleg dice che vede il bambino tutti i giorni mentre, su consiglio del portavoce della famiglia Gali Solomon, fa sapere che non era a conoscenza del piano del nonno per riportarlo in Israele: «Ma dal punto di vista emotivo non potevamo più sopportare di vedere la tristezza di Eitan, non potevamo più contenere il suo dolore. Eravamo preoccupati per gli aspetti mentali. Non abbiamo mai ricevuto un referto psicologico su di lui». Infine, nega che i soldi raccolti con le campagne di solidarietà per il bambino siano stati usati per finanziare il ritorno di Eitan in Israele, ma ammette implicitamente che la sua famiglia li ha spesi per il soggiorno in Italia: «Restare quattro mesi in Italia senza che nessuno ti sostenga non è un impegno economico da poco, e non sapevamo per quanto tempo saremmo dovuti restare. Ecco perché abbiamo raccolto soldi. Ma per il volo, no».
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