Il caso del pugile coi tatuaggi nazisti arriva a palazzo Chigi, l’attacco dell’ufficio Antidiscriminazioni: «Broili deve essere espulso»

Cresce la pressione sulla Federboxe e la giustizia federale per mettere la parola fine alla carriera del pugile di Trieste

Sul caso di Michele Broili adesso sono puntati anche i fari dell’Una, l’ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali che risponde direttamente alla presidenza del Consiglio. Dal direttore Triantafillos Loukarelis arriva la condanna senza appello del: «grave episodio» che ha visto il pugile salire sul ring a Trieste lo scorso 18 settembre con il torace ricoperto di tatuaggi con simboli nazisti. Da palazzo Chigi sembrano aver preso la vicenda con la massima serietà, al punto da aprire un contatto diretto con la Federazione pugilistica italiana per seguire da vicino l’esito di un possibile procedimento disciplinare della giustizia federale. Quel gesto per l’Unar: «non può restare impunito». E a questo punto la Fpi non potrà tergiversare, come sembra aver fatto negli ultimi anni, visto che quei tatuaggi di Broili non sono un segreto nell’ambiente da parecchio tempo. Già nel 2020 il pugile era stato al centro delle polemiche a Trieste per la sua presenza sulla locandina di un evento patrocinato dal Comune. In bella vista inevitabilmente c’erano anche i suoi tatuaggi, che avevano creato non pochi imbarazzi alla giunta comunale. La Fpi e il giudice federale ora hanno una pressione in più, con l’Unar fermamente intenzionata a sostenere il massimo della pena per Broili: «Auspichiamo che arrivino risposte celermente per far sì che episodi del genere non si verifichino mai più – ha detto Loukarelis – e che si valuti l’espulsione dell’atleta da qualunque competizione sportiva».


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