L’italo-marocchino che ha battuto il pugile con i tatuaggi nazisti: «Superarlo è stato più gustoso»

Hassan Nourdine, nuovo campione italiano della categoria Superpiuma: «Ho trovato oscene quelle scritte. Pensavo di aver visto male, non volevo crederci»

Michele Broili, il pugile con i tatuaggi nazisti che ha disputato la finale di categoria Superpiuma, rischia una squalifica. La Federazione Pugilistica Italiana in un comunicato ieri ha stigmatizzato i tatuaggi che evocano il Veneto Fronte Skinheads, la bandiera con le lettere SS in caratteri runici e il numero 88, richiamo segreto al saluto di Hitler, e ha ricordato che i suoi tesserati alla federazione italiana devono astenersi da qualsiasi comportamento discriminatorio, come recita il regolamento. «La federazione condanna e stigmatizza con forza e perentoriamente il comportamento del proprio tesserato», si legge in una nota. «Per tali ragioni la Fpi si riserva di sottoporre agli organi di giustizia federali tale comportamento». Il suo allenatore Denis Conte ha dichiarato però secondo lui non c’è un regolamento che obbliga a non avere tatuaggi e che Broili si è sempre comportato «in maniera esemplare. Michele è il prototipo dell’atleta che si sveglia alle 4 e tre allenamenti quotidiani».


In un’intervista rilasciata a La Stampa ha parlato anche l’avversario Hassan Nourdine, nuovo campione italiano della categoria Superpiuma, nato in Marocco ma da sempre astigiano e operaio alla Maina, azienda metalmeccanica alla periferia della cittadina piemontese. Nourdine ha un figlio di un anno e vedere il suo avversario con quei tatuaggi inneggianti al nazismo– racconta – l’ha lasciato «sconcertato». «Volevo fare un bel match e vista la situazione c’è stato anche più gusto a vincere. Ho trovato quelle scritte oscene. Durante le operazioni di peso io e il mio allenatore Davide Greguoldo siamo rimasti allibiti, anche se non abbiamo fatto nessuna segnalazione». E questo perché «pensavo di aver visto male, non volevo crederci. Poi abbiamo deciso di concentrarci sull’incontro, eravamo lì per quello. In quel momento non aveva senso mettersi a fare polemiche». Hassan dice che non ha pensato di rinunciare al match: «No, perché ci siamo allenati duramente ed eravamo pagati per questa riunione. Noi siamo andati a Trieste per fare il nostro lavoro. La Federazione doveva accorgersi dall’inizio che questo pugile aveva quelle simpatie. Incitare all’odio è punito dalla legge».


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