eSports, Qlash premiato come migliore team italiano: «Funzioniamo come una squadra di calcio» – L’intervista

Parlano i vincitori della categoria Best Team degli Italian Esports Awards, gli Oscar italiani dei videogiochi competitivi

Ci sono le nomination. C’è una giuria. Ci sono i campioni che collezionano premi e le stelle che stanno appena nascendo. La sera del 5 ottobre sono andati in scena gli Oscar degli Esports, gli Italian Esports Awards. Nella Sala Fucine dello spazio Ogr di Torino tutta la scena italiana del videogioco competitivo si è incontrata per premiare i suoi campioni. Come ormai da tradizione il premio come Best Italian Player è stato vinto da Riccardo Reynor Romiti, il campione italiano che ha trionfato ai mondiali di Starcraft II. Giusto per capire le proporzioni della sua vittoria, come avevamo raccontato su Open, è riuscito a battere i campioni sud-coreani a un titolo in cui in media si compiono 7 azioni al secondo. Nel tempo in cui voi avete letto questo paragrafo, Riccardo è in grado di compiere circa 350 azioni su un videogioco.


Il fenomeno esports è in crescita, anche se i tempi perché arrivi nel mainstream non sono ancora maturi. Ogni giorno, in Italia, circa 475 mila persone seguono un evento esports. Nel gergo delle analisi di mercato sono gli avid fan: quelli che nel calcio non si perdono neanche una partita della loro squadra e sono disposti a rinunciare a una vacanza pur di non perdere un anno di abbonamento allo stadio. L’intera fanbase di questo mercato, quelli che seguono almeno un evento esport alla settimana, quest’anno è arrivata invece a 1,62 milioni di persone. Il 15% in più rispetto al 2020. Per il 62% è un pubblico maschile. Età media: 27 anni. Questi dati sono estratti dal Rapporto sugli esports in Italia del 2021 pubblicato da Idea. Un quadro incoraggiante, soprattutto per gli investitori, come ci ha spiegato Luca Pagano, fondatore del Team Qlash, una delle prime squadre di videogiochi competitivi in Italia. Agli Italian Esports Awards sono loro ad aver vinto il premio Best Team.


Hai iniziato giocando a poker. Anzi. La tua pagina Wikipedia è un elenco di ottimi piazzamenti in tornei internazionali. Perché sei passato agli esports?

«È più stimolante. Gli esports rappresentano il futuro, mi permettono di parlare ai giovani e di aiutarli a crescere».

Quando hai deciso di aprire il team Qlash com’era il mercato degli esports in Italia?

«Era davvero l’anno zero. Non c’era un vero mercato. Tra i giovani però c’era molto fermento. Era chiaro che qualcosa sarebbe successo».

QLASH | Luca Pagano, fondatore del Team Qlash

E ora?

«Adesso sta diventando una vera e propria industry. Questo mercato è più strutturato e più solido. C’è ancora tanto da fare. A partire dalla comunicazione: dobbiamo trasmettere quali sono i veri valori degli esports e dobbiamo far capire cosa vuol dire prepararsi per tornei di videogiochi. Dobbiamo spiegare ai genitori che i videogiochi possono essere un terreno per incontrarsi con i loro figli. E poi dobbiamo anche spiegare agli sponsor quali opportunità possono avere».

Hai detto “valori degli esports”. Di cosa stiamo parlando?

«I valori sono gli stessi degli sport tradizionali. Un ragazzo per riuscire ad emergere deve capire che c’è bisogno di tanta preparazione. E non significa solo giocare: bisogna avere un approccio agonistico al videogioco, bisogna dare un senso matematico alle scelte e ci vuole investimento di tempo e fatica per migliorare le tecniche. Gli esports devono aiutare i giovani a prendere decisioni critiche in un contesto di squadra: vincere una partita di un titolo come League of Legends vuol dire andare d’accordo, mantenere i ruoli e andare in soccorso in maniera equilibrata».

Gli esports sembrano un po’ un’eterna promessa. Se ne parla da anni ma non sembrano ancora arrivati a una dimensione mainstream. Cosa manca?

«Tempo. Ci deve essere un consolidamento organico. Ci vuole tempo per permettere alle aziende tradizionali di capire questo nuovo settore. Gli esports non sono una moda, non sono un trend temporaneo. I giovani sono nativi digitali e i videogiochi fanno parte della loro cultura. Quando diventeranno genitori condivideranno questa passione con i loro figli. Prima di aprire Qlash ero stato in Svezia e avevo visto dei genitori giocare insieme ai proprio figli. La media di età dei videogiocatori sta continuando ad aumentare».

QLASH | Lo streamer Paolo Cannone

Abbiamo imparato a conoscere la figura dei campioni di esports. Cosa fa invece un team esports?

«È come una squadra di calcio. Ci sono i vivai di giovani che devono essere educati, strutturati e seguiti. I nostri ragazzi non hanno bisogno solo del videogioco ma anche di tutto il resto».

Quali sono le figure che fanno parte del vostro team?

«Oltre ai giocatori abbiamo i preparatori tecnici. I ragazzi devono essere preparati fisicamente per affrontare un torneo che può durare più giornate. Abbiamo anche nutrizionisti, gli psicologi dello sport».

In provincia di Treviso avete anche una struttura dedicata al team: la Qlash House.

«Sì, qui abbiamo tutto quello che serve ai ragazzi per fare un salto di qualità. Abbiamo la palestra, pc di ultima generazione e connessione ad altissima velocità. Qui i nostri ragazzi vivono e si allenano. Spesso poi li portiamo anche a fare attività all’aperto».

Questo è uno dei temi più spinosi. Gli esports sono criticati perché per allenarsi i ragazzi devono passare ore davanti a un pc e uno schermo. Non esattamente lo stile di vita più salutare per un adolescente.

«Il problema esiste, non bisogna far finta che non ci sia. Gli esports però servono anche a questo: sono importanti per educare i casual gamer. Penso a Reynor, il campione del mondo di Starcraft II. Lui si allena molto in palestra e passa davanti al gioco due o tre al giorno. E gli bastano quelle perché essere un giocatore di esports vuol dire sapere dosare le proprie energie mentali».

QLASH | La sede della Qlash House

Quali sono i titoli a cui giocano i vostri atleti?

«Uno dei classici è League of Legends, poi Starcraft II e Clash Royale, un titolo da mobile. Ora abbiamo anche una squadra di scacchi: è stata una scoperta. Uno dei nostri streamer, Paolo Cannone, quando gioca a scacchi riesce a fare anche 5 mila spettatori in live su Twitch. E poi c’è Fifa, per questo titolo abbiamo anche una partnership con Ac Milan».

Secondo il report di Idea il 64% degli appassionati di esports è attratto dalla community che si forma attorno a un titolo. Quanto contano la community in questo mondo?

«Tutto, il nostro core business è la comunity. L’aspetto competitivo è quasi secondario, serve per fare comunicazione e avvicinare gli sponsor. Ma il nostro punto più importante è proprio quello di creare, moderare e rendere vive le community che formiamo nel nostro percorso. Questo ci permette di trovare nuovi talenti e nuovi spazi per i nostri sponsor».

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