Ddl Zan, parte la ricerca dei 15 franchi tiratori. Accuse a Italia Viva che però punta il dito contro Pd e M5s

Numeri e sospetti sui senatori che hanno interrotto il percorso di approvazione della prima legge italiana contro l’odio omolesbobitransfobico

Sulla carta, i voti per disinnescare la «tagliola» promossa da Lega e Fratelli d’Italia c’erano. Lo stesso segretario del Partito democratico, lo scorso luglio, aveva lanciato l’hashtag #ivoticisono: Enrico Letta ha sempre mostrato una certa rigidità nel portare avanti la discussione sul ddl Zan senza temporaggiare in mediazioni con il centrodestra. Solo nell’ultima settimana, il Pd ha iniziato a mollare la stretta sul disegno di legge contro l’omolesbobitransfobia, aprendo a un dialogo con tutte le forze politiche dell’arco parlamentare. Forse i Dem avevano subodorato che qualcosa sarebbe potuto andare storto nella conta di Palazzo Madama. Il sentore è diventato realtà con i risultati del voto segreto che impedisce di procedere con l’analisi dei singoli articoli del ddl: 154 voti a favore dello stop, 131 contrari, 2 astenuti, 1 non partecipante al voto e 32 assenti. Di fatto, l’esito di oggi è la tomba del testo che porta come prima firma il nome di Alessandro Zan: il ddl non potrà più essere calendarizzato nei lavori del Senato per sei mesi. Misure di stampo economico e altre urgenze stringono ulteriormente i tempi per la discussione di una legge contro l’odio, considerando che nel 2023 si rinnovano Camera e Senato e, nel vivo della campagna elettorale, i lavori parlamentari muoiono.


Le assenze dei diversi partiti

Dove cercare, allora, i cosiddetti franchi tiratori che hanno seppellito il disegno di legge? Facendo la somma dei componenti dei singoli gruppi parlamentari nell’alveo del centrosinistra – Pd, M5s, Iv e altri senatori di area che si trovano nel Misto -, i voti contrari alla «tagliola» sarebbero dovuti essere 146. Dall’altro lato dell’Aula, i favorevoli allo stop – Lega, Fi, FdI e altri – sulla carta erano 141. Considerando l’esito della votazione segreta, sono dunque mancati almeno 15 voti nel campo del centrosinistra, mentre il centrodestra ha guadagnato 13 voti rispetto a quanto stimato dal pallottoliere. Il calcolo è fatto considerando le assenze a Palazzo Madama. Stando ai tabulati, l’unico gruppo al completo era quello di Fratelli d’Italia: 21 presenti su 21 senatori totali. Due assenti nella Lega – su 64 – e tre in Forza Italia – su 50 -. Il Partito democratico contava invece 36 presenze su 38 senatori totali. Quattro assenti – su 16 – in Italia Viva, e altrettante assenze nel gruppo più numeroso, quello del Movimento 5 stelle: 70 presenti su 74 senatori complessivi. Infine, un assente su 8 nelle Autonomie e ben 16 assenze nel gruppo Misto che accoglie 49 senatori.


Considerati questi numeri, Giuseppe Conte smentisce categoricamente che i franchi tiratori si annidino nel Movimento. Il Pd solleva sospetti sui renziani, ex compagni di partito. Italia Viva, però, insiste sostenendo che sono Pd e M5s a nascondere al proprio interno i senatori che hanno votato in dissenso dal proprio gruppo. «Colpa dell’arroganza di Letta» e «dilettantismo politico» sono le accuse mosse dai renziani, la cui richiesta di mediare con il centrodestra – già dalla scorsa estate – sul ddl Zan è rimasta inascoltata a lungo.

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