Che possa essere una resa dei conti o meno, dal Consiglio federale di oggi della Lega ci sono aspettative altissime. Sarà quella di oggi pomeriggio a Roma la prima occasione per capire quanto ancora il Carroccio sia da considerare il partito di Matteo Salvini, o quanto invece sia davvero spaccato dopo le ultime critiche piovute da Giancarlo Giorgetti nell’intervista raccolta nel libro di Bruno Vespa. Il ministro e vice segretario leghista aveva accusato Salvini di essersi fermato ai film con Bud Spencer e Terence Hill, anziché seguire il suo consiglio di andare oltre, magari più in alto, puntando agli Oscar con Meryl Streep. I paragoni si sprecano, così come i richiami alla storia più recente, con gli strappi di cui il centrodestra ancora porta i segni. Ad esempio l’ormai mitologico: «Che fai mi cacci?» di Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi, stavolta ribaltato da un retroscena de La Stampa che racconta di una telefonata tesissima tra i due leghisti, durante la quale Salvini avrebbe detto a Giorgetti: «Se vuoi mi faccio da parte».
Lo scontro è ancora una volta su due visioni e due direzioni che ognuno vorrebbe dare alla Lega, con quella del populismo che sembra prevalere e per la quale Salvini non sembra intenzionato a recedere. Ultimo segnale la videoconferenza di ieri, 3 novembre, tra il leader del Carroccio con l’ungherese Viktor Orbàn e il polacco Morawiecki, guide del gruppo di Visegrad all’antitesi di quel Ppe in cui Giorgetti vorrebbe far accomodare i leghisti in Europa. Le schermaglie interne alla Lega non si esauriranno certo oggi, quando Salvini ribadirà che: «qui comando io», come anticipano tutti i quotidiani. E lo aveva anticipato lo stesso segretario leghista che questo autunno si sarebbe aperta una stagione di confronto interno, che dovrebbe portare entro fine anno a un’assemblea programmatica.
Non un vero e proprio congresso con l’elezione di un nuovo segretario, ma almeno un punto di ripartenza dopo le batoste elettorali e appunto le polemiche che stanno usurando i rapporti interni nel Carroccio. A quel punto mancherà pochissimo alla campagna per il nuovo inquilino del Quirinale, altro tema su cui Salvini e Giorgetti sembrano divisi, con il primo che non esclude, almeno a parole, di puntare su Berlusconi, mentre il secondo ha addirittura ventilato un presidenzialismo di fatto con Mario Draghi, capace: «di guidare il convoglio anche dal Quirinale».
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