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L’Ue non vieta di dire «Natale» e di chiamarsi «Maria». Ecco il documento integrale delle raccomandazioni ritirato dalla Ue

30 Novembre 2021 - 12:59 David Puente
Viene contestato il contenuto di un documento sulla comunicazione inclusiva, individuando presunte discriminazioni contro il Natale e i cristiani che non risultano

In Europa vietato dire “Natale” e perfino chiamarsi Maria titola Il Giornale, che sostiene di essere entrato in possesso e in esclusiva di un documento intitolato #UnionOfEquality dove vengono indicati «i criteri da adottare per i dipendenti della Commissione nella comunicazione esterna ed interna». Il documento non è nuovo, la relatrice e Commissario per l’uguaglianza Helena Dalli ne parla sui social da ottobre 2021. No! Il documento non vieta di dire “Natale” (e non solo), ma per spiegarlo non ci accontentiamo della smentita della Commissione che, nonostante tutto, ha ritirato il documento a seguito delle polemiche.

Per chi ha fretta

  • Si tratta di raccomandazioni. Il documento invita, e non obbliga, un uso consapevole delle parole da utilizzare per evitare involontari messaggi discriminatori.
  • Il documento è presente online solo nella versione in lingua inglese.
  • Non viene vietato il riferimento al «Natale», negli esempi ritenuti “positivi” del documento viene persino citato.
  • Non è presente una discriminazione nei confronti dei nomi cristiani. Il riferimento a «Christian name» non riguarda i «nomi cristiani»: la traduzione corretta è «nome del battesimo».
  • Il documento suggerisce di usare “nome proprio” anziché “nome di battesimo”.
  • Il documento non vieta l’uso del nome “Maria”, ma di usare anche altri cosi come “Malika”.

Analisi

Di che cosa si tratta? Il documento non è nemmeno nuovo, ne esistono altre versioni passate con riferimenti simili che andremo ad illustrare nel corso di questo articolo. Il Giornale non riporta il documento, neanche un link, al contrario di altri media e utenti che lo hanno reso disponibile al pubblico per la lettura e la verifica. Di che cosa tratta? Della «comunicazione inclusiva» per evitare l’uso non intenzionale di un linguaggio discriminatorio all’interno delle istituzioni dell’Unione europea.

Tuttavia, il documento è stato ritirato. Ad annunciarlo è la stessa Helena Dalli via Twitter: «Concern was raised with regards to some examples provided in the Guidelines on Inclusive Communication, which as is customary with such guidelines, is work in progress. We are looking into these concerns with the view of addressing them in an updated version of the guidelines». L’obiettivo del ritiro viene giustificato per valutare esempi che vadano incontro alle preoccupazioni sollevate dai critici.

La storia del Natale (non) vietato

Ci troviamo alle porte delle festività natalizie, un periodo atteso con la speranza che la diffusione del Sars-Cov-2 non ci metta lo zampino. Un tema caldo e sensibile cavalcato dai media contestando il contenuto del documento, sostenendo che vi sia una sorta di divieto della parola «Natale».

Il capitolo che ha destato le critiche contro il documento.

La parola Christmas viene riportata due volte all’interno di una tabella a pagina 19, ma non viene posto alcun divieto: solo un suggerimento dove non viene contestato l’uso della parola «Natale».

La tabella è composta da tre colonne. Nella prima troviamo le linee guida dove leggiamo: «Evita di dare per scontato che tutti siano cristiani. Non tutti celebrano le feste cristiane e non tutti i cristiani le celebrano nelle stesse date. Sii sensibile sul fatto che le persone hanno tradizioni religiose e calendari diversi». Come possiamo ben capire, non viene posto alcun divieto e viene posto un esempio di comunicazione da evitare nella seconda colonna: «Le feste di Natale possono essere stressanti» («Christmas time can be stressful»). Non tutti sono sensibili in egual maniera, e lo possiamo constatare dalle reazioni scatenate dai media che hanno trattato l’argomento. Cosa suggerisce il documento come alternativa a questa frase? Citando il Natale e l’Hanukkah: «Le festività possono essere stressanti… per chi festeggia il Natale o l’Hannukkah» («Holiday times can be stressful…for those celebrating Christmas, Hanukkah»). Che cosa cambia? Semplice, che viene aggiunta un’altra festività che cade nello stesso periodo.

La storia di Maria e Malika

Secondo l’articolo de Il Giornale ci sarebbe una radice anticristiana nel documento: «Una volontà di eliminare il cristianesimo che si spinge oltre con la raccomandazione di usare nomi generici invece di «nomi cristiani» perciò, invece di “Maria e Giovanni sono una coppia internazionale”, bisogna dire “Malika e Giulio sono una coppia internazionale”».

Secondo quanto evidenziato dalla terminologa Licia Corbolante (@terminologia), gli esempi riportati dai media italiani sarebbero inventati sia sulla questione del Natale che per i «presunti “nomi cristiani”». Inc che senso presunti? Dobbiamo tornare, ancora una volta, nella tabella a pagina 19 del documento.

Nella colonna relativa alle linee guida leggiamo: «Use ‘first name’, or forename, or given name, rather than ‘Christian name’. In examples and stories, do not only choose names that are typically from one religion». Che cosa si intende per «Christian name»? Come ben ricorda la professoressa di inglese nota su Twitter con il nickname “Hey, teacher” (@HMQueenBee), si tratta del «nome di battesimo»: «Ah ne penso che ho revisionato “Nome di battesimo” da un cliente giusto due settimane fa, non se ne esce» (le definizioni le trovate qui e qui).

Un riferimento simile era presente in un precedente documento del 2018 tradotto in italiano e pubblicato dal sito della Commissione europea (qui) dove leggiamo: «È opportuno evitare di fare supposizioni circa la religione o il credo di una persona. Meglio utilizzare termini come “nome” e “nome proprio” anziché “nome di battesimo”. È inoltre importante ricordare che la parola “arabo” designa una persona appartenente a una popolazione parlante la lingua araba e non è sinonimo di “musulmano”, che designa invece una persona di fede islamica» (quest’ultima parte è presente anche nella tabella del documento del 2021).

In sostanza, le linee guida invitano ad utilizzare il “nome proprio” anziché “nome di battesimo”. L’esempio di “Maria” non punta a vietarne l’uso, ma ad usarne anche altri come “Malika” che fanno parte di altre culture oltre alla propria, anche religiosa. C’è da dire che a volte vengono fatte delle traduzioni di comodo che bisognerebbe evitare, dove due persone di nome Malika e Julio andrebbero chiamati come tali, non “Maria e John” (o “Giovanni” per gli italiani). Della serie, sarebbe come rivolgersi – ironicamente parlando – a Bill Gates con «Guglielmo Cancelli» (se poi provate a usare Google Translate per tradurre «Bill» non ridete troppo).

Il tweet del 26 ottobre 2021 di Helene Dalli con in mano il documento oggi contestato da diversi media e politici.

Colonizzare Marte e rispettare gli alieni?

L’articolo del Il Giornale conclude con un esempio estremo:

Fino ad arrivare allo sprezzo del ridicolo che impone di contrastare la connotazione negativa di parole come colonialismo: vietato dire «colonizzazione di Marte» o «insediamento umano su Marte», meglio affermare «inviare umani su Marte». Quando la tragedia lascia lo spazio alla farsa.

Secondo Il Corriere, invece, dall’Ue ci sarebbe addirittura l’avvertimento:

Guai a chi scrive «colonizzare Marte», avverte l’Ue, perché è un’offesa ai marziani.

Sia chiaro, un esempio del genere non è presente nel documento e si tratta di una chiara esagerazione dell’autore dell’articolo de Il Giornale.

Conclusioni

Il documento promosso dal Commissario per l’uguaglianza Helena Dalli non vieta l’uso della parola «Natale» e non risulta intenzionato a discriminare la religione cristiana o i “nomi cristiani”. Il documento, inoltre, propone dei suggerimenti per la comunicazione in numerosi ambiti, come quello che riguarda le persone con disabilità e nell’ambito Lgbt.

Nota: Il “Per chi ha fretta” è stato aggiornato specificando le questioni legate ai nomi.

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