«Lunga vita a Orban…» e saluta col braccio teso al Parlamento europeo. Poi le scuse del conservatore bulgaro – Il video

L’europarlamentare bulgaro lo ha definito un «semplice saluto» e non uno «nazista»

Bagarre al Parlamento europeo dove un eurodeputato bulgaro ha fatto il saluto romano alla fine del suo intervento. In aula si discuteva del meccanismo che condiziona i fondi europei al rispetto dello stato di diritto, su cui oggi c’è stata una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue. Durante il suo intervento, il bulgaro Angel Dzhambazki aveva protestato perché secondo lui il dibattito in corso non prevedeva «lo stato di diritto», ma «l’odio per l’idea del concetto di nazione». L’eurodeputato del gruppo dei conservatori Ecr, lo stesso in cui siede Fratelli d’Italia, ha poi attaccato i colleghi in aula intervenuti prima di lui, tra cui l’italiano eletto in Francia Sandro Gozi: «Non saremo mai d’accordo con la vostra agenda”, l’agenda “delle ong che cercano di distruggere l’Europa, trasformandola in qualcos’altro». Così alla fine del suo intervento, Dzhambazki si è congedato dall’aula prima augurando: «lunga vita a Orban, Fidesz, Kaczynski, la Bulgaria. Lunga vita all’Europa delle nazioni». E infine alzando il braccio teso verso la presidenza, che in quel momento era nelle mani dell’italiana Pina Picierno del Pd: «I simboli fascisti – ha detto la vicepresidente dell’Europarlamento – sono inaccettabili in quest’aula perché questa è la casa dei cittadini europei, ma è anche un monumento vivo che rappresenta la vittoria dei cittadini europei contro la barbarie del nazi-fascismo».


Dopo che il video è stato rilanciato anche dall’account Twitter del gruppo di Gozi, Renew Europe, Dzhambazki ha provato a giustificarsi: «Quando confondi un semplice saluto con un saluto nazista, hai un vero problema con la legge di Godwin. Il fatto che uno non sia d’accordo con te non significa che sia un nazista. Mi scuso se il mio gesto innocente (da intendersi come gesto di scuse) ha insultato qualcuno ma questo è un caso grave di Reductio ad absurdum».


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