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Ius Scholae, la storia di Alexia: «In Italia da quando avevo 3 anni ma per colpa della politica mi sento una straniera»

15 Aprile 2022 - 19:32 Fabio Giuffrida
Mentre alla Camera con un centrodestra spaccato e sul piede di guerra si discute lo Ius Scholae, raccontiamo la storia di Alexia Uriarte: 20 anni, nata in Perù ma in Italia da 17 anni

Alexia Uriarte ha 20 anni, è nata in Perù, a Lambayeque, e a soli 3 anni è arrivata in Italia, in un paesino di Cremona, insieme alla mamma e alla sorella di 14 anni. Suo padre, invece, era giunto nel nostro Paese qualche anno prima, alla ricerca di un lavoro. «Dei miei primi anni di vita non ricordo quasi nulla, parlo e capisco bene lo spagnolo ma non di certo come l’italiano visto che sono cresciuta in Italia, ho fatto la scuola qui e i miei amici sono italiani», ci spiega. Peccato che Alexia non abbia ancora la cittadinanza italiana. «La cosa che fa più male è che io non posso votare né alle elezioni né ai referendum», aggiunge. E subito il pensiero va agli ultimi referendum sull’eutanasia e sulla cannabis che tanto hanno toccato i giovani, Alexia compresa: «Io non ho potuto votare, è frustrante. Sono temi a cui mi sarebbe piaciuto dare un mio contributo. E, invece, no. L’Italia è il Paese in cui vivo, in cui ho intenzione di restare ma non posso votare, non posso dire la mia su ciò che potrebbe cambiare le sorti dell’Italia».

Peraltro Alexia conosce «lingua, usanze, storie e cultura» ed è più informata di quello che accade nel nostro territorio che in Perù dove va ogni tanto e al massimo per un mese. Una testimonianza, la sua, che arriva in un momento delicato per il nostro Paese, quello in cui si discute dello Ius Scholae, fortemente contestato dal centrodestra con una pioggia di emendamenti presentati soprattutto da Lega e Fratelli d’Italia (e con Forza Italia decisamente più aperta e possibilista sul tema). «Approvatelo, anche vincolandolo alla residenza in Italia da almeno 10 anni», tuona Alexia.

L’infinita attesa per avere (forse) la cittadinanza italiana

Alexia ha imparato subito la lingua italiana, ha frequentato un istituto tecnico economico, poi ha deciso di lavorare come commessa. Ora la svolta: «Voglio fare l’agente di commercio ma mi manca la documentazione. Per fortuna ho il permesso di soggiorno ma non il certificato dei carichi pendenti che deve essere fatto dal mio consolato, visto che non sono italiana e che non posso seguire la procedura standard». Ostacoli su ostacoli, insomma. Ma perché Alexia, che vive in Italia da 18 anni, non può chiedere la cittadinanza italiana? «Perché, oltre alla residenza per 10 anni in Italia, che io ovviamente ho, viene richiesta la situazione reddituale familiare degli ultimi 3 anni. Mia madre non ha lavorato, mio padre è stato in disoccupazione per tanto tempo. Come faccio? Dovrei aspettare allora di maturare io i 3 anni di reddito per poi fare richiesta di cittadinanza. Ma questo significa che potrò avviare la procedura a 23-24 anni e che, con i tempi che ci sono oggi, la otterrò forse a 26 anni». Il paradosso – continua – è che chi ha «un parente in Italia la ottiene più facilmente, come nel caso di un mio conoscente che l’ha avuta in pochissimo tempo perché aveva il nonno italiano». Suo cugino, invece, anche lui peruviano, anche lui 20enne ma con una famiglia con reddito dimostrabile, attende la cittadinanza da 3 anni.

«Alcuni politici non vogliono lo Ius Scholae, gli italiani sì»

Alexia è consapevole che l’Italia sia «indietro nel tempo» e che non si facciano grandi passi in avanti a causa di una politica poco attenta ai bisogni reali. «Mi sento straniera, sì», dice. Non si sente, di fatto, rappresentata da nessun partito politico italiano e oggi non saprebbe nemmeno chi votare: «I cittadini vogliono lo Ius Scholae, gli italiani sono pronti ma alla fine sono i politici a decidere le nostre sorti, non rappresentandoci del tutto forse». Questa disuguaglianza Alexia la sta vivendo sulla sua pelle. «Certi partiti politici tendono a discriminare, a non voler parlare di temi come i diritti civili e a volte si esprimono anche contro».

Il riferimento, nemmeno troppo velato, è al centrodestra (o almeno a una parte considerevole del centrodestra): «Mi pare evidente che ci sia del razzismo da parte loro. Sui post che pubblicano sui social ci tengono a specificare quando un crimine viene commesso da un nigeriano o da un marocchino, l’importante è che sia straniero. Specificano sempre in senso negativo per lasciar intendere che lo straniero è un criminale. Se la vittima è straniera, invece, non ne parlano». «Mi piacerebbe pensare, invece, che vivere in un Paese da stranieri possa diventare un arricchimento culturale. Non è che devo conoscere per forza i santi o la religione per essere italiana al 100 per cento». La Lega, a tal proposito, aveva posto dei paletti per lo Ius Scholae come conoscere sagre, santi e tradizioni.

Cos’è lo Ius Scholae

Lo Ius Scholae prevede il riconoscimento della cittadinanza al minore di origine straniera nato in Italia o arrivato in Italia prima dei 12 anni di età che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese e che abbia frequentato regolarmente, e per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici. Possono fare domanda entrambi i genitori entro il compimento dei 18 anni o il ragazzo stesso, una volta diventato maggiorenne. Un testo – il cui relatore è il grillino Giuseppe Brescia – che non è piaciuto al centrodestra che ha presentato una valanga di emendamenti, più di 700, solo in parte ammessi (su 728 presentati, 210 non sono stati neanche ammessi al voto). Forza Italia, in realtà, ha votato a favore dell’emendamento interamente soppressivo della norma proposto da Lega e Fratelli d’Italia, aprendo di fatto una spaccatura all’interno del centrodestra.

Il partito di Silvio Berlusconi, però, ha chiesto di vincolare la cittadinanza al completamento del primo ciclo di studi, per chi nasce in Italia. Dunque ci vorrebbero 8 anni e non 5. Se non dovessero passare queste modifiche, anche i forzisti voteranno contro. La Lega, invece, aveva chiesto di vincolare la cittadinanza al merito scolastico, come un diploma con almeno 90/100, mentre Coraggio Italia spingeva su un esame che attestasse le conoscenze della lingua italiana, educazione civica, cultura generale, elementi di diritto costituzionale italiano e dell’Unione europea. Un clima incandescente che potrebbe replicarsi subito dopo Pasqua, martedì 19 aprile, quando riprenderanno alla Camera le votazioni sullo Ius Scholae in Commissione Affari Costituzionali. Attualmente sono circa 850 mila i figli di immigrati, nati o cresciuti in Italia, senza cittadinanza.

Cosa prevede la legge attuale

Allo stato attuale le regole prevedono che la cittadinanza italiana si acquisisca tramite il diritto di sangue, e cioè con la nascita o l’adozione avvenuta da parte di cittadini italiani. A questa regola poi vengono affiancate alcune eccezioni come quella della cittadinanza acquisita per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato da genitori privi di altra cittadinanza o da genitori ignoti. C’è anche la cittadinanza acquisita per aver contratto matrimonio con un italiano e quella per naturalizzazione, dopo aver soggiornato per almeno 10 anni in Italia dimostrando, però, un’autonomia sufficiente, la mancanza di precedenti penali o di motivi ostativi per la sicurezza. Ed è questo il caso di Alexia. Poi ci sono anche altri casi più eccezionali come la cittadinanza per meriti speciali, come un gesto eroico, per provvedimento del Capo dello Stato e solo su proposta del ministero dell’Interno. La legge che regola la cittadinanza italiana è la n°91 del 1992.

Foto in copertina gentilmente concessa a OPEN da ALEXIA URIARTE

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