Nell’ultimo Consiglio dei ministri non si è discusso solo del Decreto legge Aiuti. Tra le norme passate sottotraccia c’è anche una misura che riguarda il voto elettronico, una procedura che doveva essere introdotta (almeno in via sperimentale) a partire dal prossimo 12 giugno. Durante l’election day in cui sono programmati i referendum sulla giustizia e le amministrative di 982 comuni, un campione di elettori avrebbe dovuto partecipare a una simulazione di voto senza valore legale. Una prima prova per capire se il voto elettronico poteva essere integrato nelle procedure con cui si svolgono normalmente le votazioni. Con poche righe scritte in burocratese, il governo guidato da Mario Draghi ha deciso di rimandare tutto al 2023. Troppe le preoccupazioni per gli attacchi informatici: «In considerazione della situazione politica internazionale e dei correlati rischi connessi alla cybersicurezza, l’articolo 1, comma 628, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, si applica a partire dall’anno 2023».
Un precedente di voto elettronico già c’è nella storia recente: nel 2017 la Regione Lombardia guidata da Roberto Maroni aveva organizzato un referendum consultivo sul passaggio allo Statuto Speciale. Alle urne i cittadini avevano trovato un tablet su cui esprimere la loro preferenza, invece dei tradizionali fogli con matita. I voti poi erano stati raccolti da urne digitali, chiavette Usb che sono analizzate da un ufficio centrale. Allora la sperimentazione non era andata benissimo: c’erano stati diversi problemi tecnici e il passaggio al digitale aveva rallentato le operazioni invece che sveltirle. La proposta di cambiare il modo in cui si vota in Italia è partita da un gruppo di deputati guidati da Giuseppe Brescia, eletto nelle liste del Movimento 5 Stelle.
Quando ha cominciato a lavorare per la proposta di voto elettronico?
«All’inizio di questa legislatura abbiamo stimolato il dibattito sull’argomento. Siamo anche riusciti inserire un finanziamento da un milione di euro per portare a termine tutto il progetto. Nel luglio del 2021 è arrivato il decreto per stabilire le linee guida alla sperimentazione con una prima fase di mera simulazione che non avrebbe avuto nessun valore legale. Ora però è arrivata la decisione di rimandare tutto».
In Italia è già stato fatto un tentativo di voto elettronico ma è sembrato un po’ macchinoso.
«Era un’altra epoca, nel frattempo la tecnologia ha fatto passi da gigante. Comunque per gli aspetti tecnici mi affido al lavoro del Ministero dell’Interno e del Ministero dell’Innovazione tecnologica. Nelle linee guida si parlava di una web application che avrebbe reso possibile votare con qualsiasi dispositivo digitale. Bastava connettersi a internet. Passare da un’idea così ambiziosa ad un nulla di fatto è decisamente strano».
Nel decreto si parla di rischi per la cybersicurezza. Di cosa si tratta di preciso?
«Gli italiani all’estero votano sempre per corrispondenza e i problemi di questo sistema sono noti. Non capisco perché si sia dovuta interrompere questa sperimentazione: ora abbiamo un’Agenzia per la cybersicurezza che avrebbe potuto monitorare eventuali falle del sistema. I rischi ci sono per il digitale così come per l’analogico».
In effetti negli ultimi mesi il numero di attacchi hacker verso privati e strutture pubbliche è aumentato.
«Sarebbe
un fallimento dire che visto che c’è un rischio, non dobbiamo
provarci. I rischi ci possono essere ma bisogna controllarli. Bisogna
andare avanti con la digitalizzazione del Paese. Fermiamo
l’innovazione perché ci sono dei rischi?».
Quali sono le realtà europee in cui c’è già il voto elettronico?
«Prima di tutto l’Estonia. È il Paese che è più avanzato in questo campo. Da 15 anni hanno un sistema che è ormai rodato, siamo anche andati a visitarli e abbiamo visto che tutto funziona in modo ordinato. L’Estonia però non è certo grande come l’Italia, ha giusto 1,3 milioni di abitanti. Eppure capire cosa stanno facendo e quali difficoltà hanno incontrato è utile per avviare anche la nostra sperimentazione».
Perché il voto elettronico è così importante?
«Negli ultimi 15 anni sono stati spesi circa 60 milioni di euro per le agevolazioni destinate ai viaggi per andare a votare. Siamo nel 2022, è il momento di implementare il sistema tradizionale con qualcosa di innovativo».
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