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Il “codice segreto” che indica le case da rapinare? Una leggenda metropolitana

Circola da decenni la lista dei presunti simboli che verrebbero segnati sulle porte delle case, ma non è il caso di allarmarsi

Circola una voce vecchia quanto i social network, anzi, di più: quella secondo cui i ladri si avvalgono di alcuni codici segreti per marchiare le abitazioni e decidere quelle più facili in cui commettere un furto. Di solito la teoria circola insieme a vere e proprie liste di simil-geroglifici, condivisi da chi ha la convinzione di aver smascherato il linguaggio segreto dei malfattori. Ma questa storia non ci convince: ecco perché.

Leggi anche:

  • Circolano diverse immagini che sostengono di raffigurare un alfabeto segreto
  • Si afferma che i segni verrebbero usati dai ladri per comunicare tra loro e marchiare le case appetibili per una rapina
  • In realtà la leggenda circola da anni, ma non è mai stata dimostrata la sua validità. Anzi, le prove e la logica inducono a bollarla come una fake news

Analisi

Un triangolo per identificare la casa di una donna che vive da sola. Tre segni per comunicare che una data abitazione è stata già visitata. Una “x” da riservare alle case dei più ricchi. Sono solo alcuni dei segni che vengono condivisi sui social network, insieme a un allarme: se ne trovate uno al di fuori del posto dove vivete, sul muro dell’edificio o sui citofoni del condominio, alzate la guardia. Stanno arrivando i ladri.

Un post diventato virale nel maggio 2022. Il contenuto è stato rimosso dall’autore.

Il foglio in questione riporta una dozzina di segni in rosso, ognuno dei quali accompagnato dal suo presunto significato “nascosto”. Ma il linguaggio riportato non sembra essere universale.

Le diverse versioni

In un’altra immagine diventata virale, condivisa insieme alla scritta «I segni degli zingari – FACCIAMO ATTENZIONE!! NOI POLIZIOTTI PER SEMPRE» (sic), per esempio, le case ricche non vengono identificate con la “X”, ma con una specie di “C” squadrata. Il segno che dovrebbe identificare la presenza di un cane in casa non è più composto da 5 linee disposte in orizzontale, diagonale e verticale, come nella prima immagine, ma da un disegno che sembra raffigurare una scala stilizzata, o in alternativa da due sole linee.

Non finisce qui: circola infatti un’altra versione ulteriore, dove le “case ricche” andrebbero marchiate con una “C” squadrata, ma contenente un trattino al suo interno, e la scala stilizzata non indica la presenza di un cane, ma suggerisce di evitare un certo comune. Peraltro, non è chiaro come quest’ultima indicazione potrebbe avere senso sulla porta di una casa. Così come non è chiaro perché segnalare le case svaligiate di fresco, o evidenziare i bersagli appetibili a potenziali competitor. Le residenze dei pubblici ufficiali, inoltre, non vengono indicate con una sorta di pesce triangolare, come nella foto sopracitata, ma da due spunte ribaltate che si intersecano con una linea diagonale. Riguardo la presenza di un cane in casa, troviamo infine un nuovo segno, diverso dai primi due.

Potremmo continuare ulteriormente, citando questa condivisione, questa e quest’altra, ognuna con le sue personalissime variazioni. Insomma, non c’è dubbio che il linguaggio “segreto” appassioni gli utenti di Facebook da tempo, e che ognuno abbia provato a tradurlo e decodificarlo a modo suo.

Le origini della leggenda urbana

Le radici di questa leggenda urbana sono da rintracciare, tuttavia, ben prima dell’avvento dei social: il collega Paolo Attivissimo, per esempio, nel lontano 2005 (articolo aggiornato nel 2015) faceva presente come già nel 1997 un articolo di Umanità Nuova parlasse del cosiddetto “codice degli zingari” descrivendolo come una bufala apparsa su molti quotidiani e telegiornali regionali. Attivissimo aveva inoltre aggiunto:

Paolo Toselli, coordinatore del Centro Raccolta Voci e Leggende Contemporanee, autorevole sito dedicato a questo tipo di appelli, mi scrive che “in Italia il caso esplode negli anni ’90, ma si riscontrano segnalazioni sin dagli anni ’60. Secondo il Corriere di Chieri, a giugno 1997 il cosiddetto “codice degli zingari ladri” è finito anche “sul tavolo del ministro degli Interni, Giorgio Napolitano, poiché il senatore della Lega Nord Luigi Peruzzotti chiedeva di diffonderlo per garantire maggiore sicurezza ai cittadini”.

Sembra una catena di Sant’Antonio, dunque, diffusa da prima che iniziasse il nuovo millennio. Non è chiaro perché, se mai i presunti criminali si sono avvalsi di questo codice, avrebbero dovuto continuare a farlo dopo una così decennale e sdoganata scoperta del loro linguaggio segreto da parte delle vittime. I Carabinieri di Roma, rispondendo nel 2003 a una domanda sull’argomento, avevano scritto: «Premesso che non esiste un “catalogo” di simboli che aiutino a comprendere le intenzioni di persone che si apprestano a compiere furti in appartamenti o altre azioni criminali è tuttavia plausibile che malintenzionati vari utilizzino segni in codice (solo a loro noti) per passarsi informazioni a loro utili per compiere azioni criminose». Dunque: non è da escludere che i malintenzionati abbiano i loro strumenti per comunicare i luoghi da colpire, ma è altamente improbabile che per farlo si avvalgano di un alfabeto alternativo che da decenni si ritiene decodificato.

In ogni caso, la diceria non ha appassionato solo gli italiani: il già citato Paolo Toselli ha menzionato episodi simili in Portogallo, Spagna, e nei Paesi Bassi, ma abbiamo notizia di credenze analoghe in circolazione anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ma purtroppo, come ricorda Snopes, per svaligiare una casa non è necessario rendere noti i comportamenti e le abitudini dei suoi abitanti attraverso criptici segni lasciati fuori dalle sue mura. Al giorno d’oggi, con tutti gli strumenti a disposizione, è più probabile che i “ladri” si inviino messaggi su WhatsApp o Instagram per scambiare info sui possibili obiettivi delle loro rapine, piuttosto che uscire armati di gessetto a imbrattare le case altrui, con il rischio di venire sorpresi nel bel mezzo dell’impresa.

Conclusioni

Il volantino che sostiene di rivelare il “linguaggio segreto dei ladri” è tanto virale quanto privo di fondamento. Non c’è alcuna prova che i segni che contiene vengano effettivamente utilizzati per lo scopo che si attribuisce loro. Al contrario, il loro significato variabile e contraddittorio, il fatto che la teoria circoli da decenni e che sia così conosciuta dalle presunte vittime lasciano dedurre che molto difficilmente un malfattore deciderà di ricorrervi.

Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.

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