No! I dissalatori usati a Dubai non sono una “soluzione nascosta” alla siccità

Sebbene in certi contesti dissalare l’acqua sia l’unica opzione disponibile, in quello italiano risulterebbe ancora poco conveniente

Un post che circola su Facebook invita chi lo legge a riflettere, ponendolo di fronte all’efficacia dell’impianto di dissalazione e potabilizzazione dell’acqua di Dubai (costruito da un’impresa genovese), anche in condizioni di siccità più estreme di quelle italiane. Con un perentorio «svegliatevi boccaloni!», il post pare suggerire che i dissalatori siano la soluzione alla siccità che viene tenuta nascosta.

Per chi ha fretta

  • La dissalazione è una tecnica efficace per ottenere acqua potabile quando il territorio non offre risorse idriche sufficienti;
  • Presenta però dei problemi, in primis di costi, e poi di smaltimento delle scorie.

Analisi

Nell’immagine condivisa si legge:

«A Dubai la temperatura media è di 40° 20° in inverno. Eppure non hanno problemi di siccità. Sapete quanti giorni piove tra maggio e ottobre? 0! Sapete chi ha costruito il potente dissalatore che produce 2000000000 lt di acqua al gg? La IMPREGILO una azienda italiana di Genova! Boccaloni svegliatevi!»

Vari dati falsi

Il post si apre con due affermazioni false. Innanzitutto, è sufficiente cercare su Google «clima Dubai» per scoprire che la temperatura invernale della capitale degli Emirati Arabi Uniti non varia tra i 40° (massima) e i 20° (minima). Sebbene alti, i valori sono più contenuti, tra i 24 e i 26 gradi le massime, e tra i 14 e i 18 le minime. Le seconda è che «Dubai non ha problemi di siccità», in netto contrasto con l’informazione (vera) che Dubai ha una piovosità quasi nulla nei mesi estivi, ovvero l’esatta definizione del fenomeno: «Mancanza o scarsezza di pioggia, che si protrae per un periodo di tempo eccezionalmente lungo».

Un altro dato errato nel post è la quantità d’acqua dissalata dall’impianto di Dubai, che è sì stato costruito dalla compagnia Salini Impregilo, rinominata Webuild dopo il rebranding del 2020. Come indicato nel sito del costruttore, il dissalatore produce 636,400 mila metri cubi d’acqua al giorno, e non, come scritto nel post, 2 milioni.

I pro e contro della dissalazione

Quello che il post cerca di dimostrare è, con abbondante probabilità, che sarebbe sufficiente costruire degli impianti di dissalazione per fare fronte alle grave crisi idrica in cui si trova attualmente il nostro Paese. Questo tipo di approccio, sebbene fondamentale in alcuni contesti, presenta diversi problemi che lo rendono poco conveniente da applicare in Italia.

Gli alti costi

Innanzitutto, come si apprende dal sito della Commissione Europea, la dissalazione è una tecnica che necessita di «una quantità di energia dieci volte superiore rispetto a qualsiasi altra fonte idrica». Questo la rende conveniente solo in certi contesti insulari, dove l’acqua dovrebbe essere trasportata, o in territori estremamente aridi e ricchi di fonti energetiche, come appunto sono gli Emirati Arabi Uniti. Non è un caso che, in Europa, il Paese che sfrutta questa tecnologia più di tutti sia la Spagna, e che in Italia sia in progetto un dissalatore alle Isole Tremiti. È da escludersi, poi, la produzione di acqua dolce per uso agricolo, viste le immense quantità necessarie all’irrigazione dei campi e il prezzo elevato della dissalazione. Come fa notare l’articolo della Commissione Europea, alcuni impianti sono caduti in disuso in Spagna, quando gli agricoltori si sono rifiutati di pagare il prezzo dell’acqua dissalata.

La salamoia caustica

Esiste, poi, il problema della salamoia residua, tanto salina da risultare caustica e il cui smaltimento rimane tutt’ora problematico, anche perché può costituire fino a un terzo del costo operativo dell’impianto. La tentazione è di smaltire la melma riversandola direttamente in mare, ma questo altera la salinità dell’acqua in cui viene sversata, compromettendo la vita di flora e fauna. Sono in corso studi per ottimizzare l’estrazione di sali e metalli dalla melma, come ad esempio magnesio, gesso, cloruro di sodio, di calcio e di potassio, di bromo e di litio, ma i risultati non sono ancora considerati soddisfacenti dalla comunità scientifica. Un altro modo di rendere la dissalazione più conveniente è partire dall’acqua salmastra, anziché da quella marina.

Una soluzione solo per casi eccezionali

Chiaramente, la dissalazione non è un progetto da escludere a prescindere, come spiega il professor Frank Rogalla, ingegnere ambientale esperto di gestione delle acque, «Si tratta di una misura d’emergenza ed è solo una parte della soluzione», osserva Rogalla. «In primo luogo, si dovrebbe ridurre al minimo l’utilizzo dell’acqua e, in seconda battuta, riutilizzarla quando è possibile. La desalinizzazione riguarda esclusivamente i bisogni più urgenti. Senza queste altre azioni, semplicemente non è sostenibile». In Italia l’uso di questi impianti è regolato dalla legge n. 60 del 17/05/2022, che stabilisce che la desalinizzazione dell’acqua marina è consentita solo in casi eccezionali.

Conclusioni:

Un post ampiamente ricondiviso su Facebook vuole far passare la dissalazione come la soluzione nascosta alla siccità. Tuttavia, sebbene in certi contesti dissalare l’acqua sia l’unica opzione disponibile, in quello italiano risulterebbe ancora poco conveniente.

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