Perché il 2022 è l’anno più caldo di sempre: i fenomeni incrociati di caldo e siccità e gli effetti sull’ambiente

Dai terreni aridi non evapora l’acqua che abbasserebbe le temperature. E con il caldo il suolo è sempre meno permeabile, in un circolo vizioso

Il 2022 è l’anno più caldo e arido di sempre in Italia. A farlo sapere sono le rilevazioni del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che evidenziano come la temperatura media dei sette mesi appena trascorsi sia di 0,98 gradi superiore alla media dal 1800 (quando iniziarono le misurazioni) ad oggi. A preoccupare sono soprattutto i dati di maggio, giugno e luglio, con quest’ultimo che si è attestato a 2,26 gradi in più della media stagionale, ben al di sopra della soglia degli 1,5 gradi di incremento, considerata “sicura” dagli scienziati.


Per quanto riguarda le piogge, c’è stata una riduzione che tocca il 52% al Nord e il 42% al Centro-Sud, che porta il livello nazionale al -46% rispetto alla media dal 1991 al 2021. Il dato fa presagire che l’anno in corso sarà di gran lunga più arido rispetto al 2017, attualmente detentore di questo triste record. I responsabili sono gli esseri umani e le loro attività, che hanno portato la concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera a 420 parti per milione (ppm), contro le 280 ppm di due secoli fa. Questo diventa evidente quando si considera che «27 dei 30 anni più caldi di sempre sono tutti concentrati negli ultimi quattro decenni», ha commentato Michele Brunetti, dirigente di ricerca di Isac-Cnr. L’unico modo di mettere freno al fenomeno è ridurre drasticamente le emissioni di gas serra.


La siccità aumenta il caldo, il caldo aumenta la siccità

I due fenomeni – caldo e siccità – si rinforzano tra loro, come già era accaduto nel rovente 2003. Il terreno asciutto si scalda prima, poiché a causa della mancanza di piogge non avviene l’evaporazione dell’acqua che assorbirebbe energia e abbasserebbe le temperature. A loro volta – spiega il Corriere della Serapiù si scaldano i terreni e meno diventano permeabili, riducendo l’assorbimento d’acqua e facilitando la formazione di alluvioni, come quella che nelle scorse ore ha colpito la Val di Fassa, in Trentino Alto Adige. Il problema potrebbe esasperarsi in autunno, quando la differenza tra la temperatura dei mari – per la prima volta superiore ai 30 gradi nelle acque del nostro Paese – e quella dell’aria fredda delle perturbazioni rischia di creare dei veri e propri uragani mediterranei.

I danni per agricoltura e allevamenti

Le conseguenze stanno ricadendo a catena anche su agricoltura e allevamenti. Per la prima, Coldiretti stima danni per 6 miliardi, il 10% della produzione nazionale. «Le campagne italiane sono allo stremo» – si legge nel comunicato – «con cali produttivi del 45% per il mais e i foraggi che servono all’alimentazione degli animali, del 20% per il latte nelle stalle, del 30% per il frumento duro per la pasta di oltre 1/5 delle produzione di frumento tenero, del 30% del riso.

Meno 15% per la frutta “ustionata” da temperature di 40 gradi, meno 20% cozze e vongole “uccise” dalla mancanza di ricambio idrico nel Delta del Po». L’allarme non si ferma qui. Sono in crisi anche i pascoli di montagna, ormai inariditi, le vigne, dove si prevede un calo di produzione del 10% e preoccupano le invasioni di insetti e cavallette facilitate dal cambiamento climatico.

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