Dopo il sequestro di 3,5 milioni di euro nei confronti Irene Pivetti, la Corte di Cassazione fornisce i motivi della decisione nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano che vede indagata l’ex presidente della Camera per evasione fiscale e autoriciclaggio con altre 5 persone, per circa 8 milioni di euro di ricavi sottratti al fisco. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni del verdetto di conferma del sequestro, spiegando come Pivetti abbia avuto un ruolo «fittizio» come acquirente della Only Italia di Hong Khong, un network societario «di assoluta inconsistenza, di inesistenza giuridica e economica e sprovvisto di conto corrente e di personale». Per i giudici della Corte, il Tribunale del riesame ha spiegato in modo corretto il sistema di «scatole vuote» facente capo alla Pivetti, che per l’accusa ha usato uno schermo di contratti «parzialmente o totalmente simulati», con lo scopo di trasferire alcuni beni della scuderia Isolani, in particolare la licenza d’uso del marchio Ferrari, al gruppo cinese Daohe. Secondo quanto risulta agli investigatori, l’ex pilota di rally Leonardi Isolani «ha sempre mantenuto la disponibilità dei beni» fatta eccezione del logo “Isolani Racing Team with Ferrari”, la cui cessione non poteva avvenire in modo disgiunto dai beni della scuderia che i coniugi Isolani-Mascoli avevano interesse a cedere «per sottrarsi alle azioni esecutive dell’Erario».
Le fatture assenti
Mentre l’obiettivo dei coniugi era quello di dissimulare la proprietà dei beni della loro scuderia, tra cui tre Ferrari da corsa, un trattore stradale Iveco Stralis e un semirimorchio Imt Miele, e «sottrarli all’Erario al quale erano debitori di circa 5 milioni di euro», lo scopo della Pivetti spiegano i giudici era quello «di acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe, senza comparire in prima persona». Stando alle ricostruzione dei pm milanesi, Isolani e la moglie, simulando la vendita dell’intera scuderia, hanno di fatto ceduto soltanto il logo, mentre Pivetti avrebbe comprato quello stesso logo a 1,2 milioni di euro, rivendendolo al gruppo cinese a 10 milioni. La Cassazione spiega poi come non sia stata emessa alcuna fattura per la compravendita della scuderia e di come non sia stato trovato nemmeno un conto corrente attivo. Fattori che, «uniti all’assenza di un’autonoma sede sociale e di personale dipendente», rappresentano per i giudici valide dimostrazioni dei sospetti dell’accusa. Il prossimo 25 gennaio si terrà l’udienza preliminare davanti al gup per i cinque imputati: Pier Domenico Peirone, consulente di Pivetti, ha patteggiato ad aprile una condanna a un anno e 10 mesi.
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