Torino, il padre del 17enne che ha confessato lo stupro: «Mi è caduto il mondo addosso. Chiediamo perdono»

Lo sfogo dell’uomo a Repubblica: «Ci dava problemi, ma mai avremmo immaginato un atto del genere»

Lo stupro di una studentessa nel campus universitario Paolo Borsellino di Torino, avvenuto lo scorso 30 ottobre, è stato confessato ieri da un 17enne di origini senegalesi. Il padre dell’accusato, in un’intervista rilasciata oggi Repubblica, si mostra attonito e distrutto: «Non ce l’aspettavamo. Da anni mio figlio ci dà problemi, fa tanti “casini”. Ma non immaginavo potesse fare una cosa così grave. Posso solo chiedere perdono a quella ragazza e alla sua famiglia…», esordisce. Partito dal Senegal nel 2021, l’uomo si era trasferito assieme alla sua famiglia in un piccolo paesino piemontese. Una vita adesso stravolta dalle gravi accuse di cui dovrà rispondere suo figlio: «Mi è caduto il mondo addosso. Penso a noi, ai problemi che dovremo affrontare con il processo, ma penso anche a quella ragazza e alla sua famiglia. Con tutto il cuore voglio chiedere perdono».


«Dava problemi da tempo»

«Io – racconta – faccio il muratore, esco di casa al mattino presto e torno alla sera tardi. Ai miei figli non ho mai fatto mancare nulla». Ma, ammette con amarezza, «con lui non ci siamo riusciti». I problemi con il ragazzo, stando alle sue parole, sarebbero iniziati tempo fa: «Quando lo abbiamo iscritto alle superiori, a una scuola professionale, poco dopo siamo stati chiamati dal preside perché frequentava dei ragazzi poco raccomandabili». Il dirigente scolastico, racconta, avrebbe provato a dissuaderlo dal passare il tempo con tali compagnie, invano. La famiglia, inoltre, ha provato «tutto il possibile» per recuperare: anche portarlo un anno in Senegal, per fargli cambiare ambiente. «Diceva di essere cambiato, che non avrebbe più fatto nulla di male e allora abbiamo deciso di farlo tornare in Italia e magari avrebbe ripreso a studiare. Ma, a pensarci ora, sarebbe stato io meglio lasciarlo là». Perché al suo ritorno, spiega, «è tornato il ragazzo che era prima. È stata provata anche la strada della comunità, ma è scappato. E da mesi ormai andavamo avanti così, senza scuola, senza lavoro, combinando dei guai». L’intervistato spiega di aver saputo del fermo venerdì, alle sei e mezza di sera, quando tornato a casa dal lavoro ha ricevuto la visita di alcuni poliziotti. «Hanno preso dei vestiti di mio figlio e mi hanno detto che mio figlio era stato fermato con quelle accuse».


Sparito per giorni

Il padre sostiene di avuto pochi contatti contatti con il ragazzo, sia prima che dopo la violenza. «L’ultima volta che ci siamo parlati è stato la notte prima, quella tra venerdì e sabato. All’una di notte è venuto a casa un carabiniere per dirmi che avevano trovato mio figlio ubriaco e che lo avevano portato al Martini. Io mi sono messo in macchina e alle tre ero a Torino. Sono andato a prenderlo, ho parlato e parlato… Ma non serviva a niente». Il giorno dopo, l’avrebbe accompagnato alla stazione. «Però dopo quel giorno non è più tornato a casa per una settimana intera. Non ho più saputo niente di lui. Una notte, una settimana dopo, è passato da casa ma io dormivo. Il mattino dopo io sono andato a lavorare e lui dormiva. Pensavo di trovarlo dopo a casa, invece non ho più saputo niente fino a quando non è venuta la polizia». Cogliendolo, secondo il suo racconto, del tutto alla sprovvista: «Non avevo sentito niente (di quanto accaduto nella residenza Borsellino, ndr). Solo dopo che lo hanno fermato ho capito la storia. Ho chiamato la mamma, che in queste settimane è in Senegal con gli altri figli. Immagini come l’ha presa… Sono stati loro, cercando su internet, a capire cosa era accaduto e mi hanno mandato gli articoli di giornale. Così ho visto anche le immagini delle telecamere che lo hanno ripreso».

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