Il rider che ha fatto 50 chilometri per consegnare un panino: «Non mi sento sfruttato, basta strumentalizzarci»

«Se vado in ufficio per stare in silenzio 8 ore e fare 2 ore di pausa pranzo, io rifiuto», ha scritto Filippo Bazerla su Facebook difendendo il suo lavoro

«Se vado in ufficio per stare in silenzio 8 ore e fare 2 ore di pausa pranzo, io rifiuto». Parla così Filippo Bazerla, il rider la cui storia, denunciata poche ore fa da un suo cliente nonché consigliere regionale Fdl Andrea Bassi, ha destato non poche polemiche. In uno dei tanti faticosi turni di lavoro, l’uomo ha percorso cinquanta chilometri, da Verona sud a Bussolengo, in bicicletta, di sera e in pieno gennaio per consegnare un panino. A raccontare il caso è stato chi quell’ordine lo ha fatto. In un misto di pentimento e indignazione, Bassi ha deciso di condividere quanto successo su Facebook: «Avevo ordinato da una nota catena di fast food alle 18:40, la consegna era prevista alle 19:40 ma alle 20:50 ancora l’ombra di nessuno», scrive sui social. «Il ragazzo è arrivato alle 21:10 e quando ho visto in che condizioni era, l’arrabbiatura si è trasformata in pena». Poi il discorso va avanti con la denuncia sulle condizioni di lavoro generali dei rider italiani: «Non cado dalle nuvole ma ho toccato con mano quello che accade a questi poveri ragazzi, è stata la prima volta che ho usato l’applicazione.  Ero ignorante, ora ne ho preso consapevolezza».


«Ho accettato la distanza perché amo il mio lavoro»

Ma a parlare oggi su Facebook è lo stesso rider. Che, in risposta a quanto raccontato da Bassi, spiega in realtà di non sentirsi affatto sfruttato. Nel lungo discorso pubblicato da Filippo Bazerla, il messaggio chiaro di come il ragazzo sia contento del lavoro che fa nonostante il racconto del consigliere abbia fatto capire l’opposto. E questo «perché non conta la quantità di denaro nel mio modo di essere. Quanto piuttosto la qualità del tempo in cui vivo. In soldoni, se vado in ufficio e devo stare in silenzio 8 ore, per fare 2 ore di pausa pranzo, insomma queste cose alienanti e per me almeno tristi, io rifiuto. L’ho sempre fatto e sempre lo farò». Fino a poche ore fa l’identità del rider era rimasta anonima. Ma il post condiviso sui social ha fornito un nome a chi, nonostante la denuncia del suo cliente, non sembra vivere male la sua condizione.


«Lasciateci in pace»

«La distanza era tanta», riconosce il ragazzo, «e se ho accettato quella consegna, è perché amo il mio lavoro, posso rifiutarle se voglio. Ed inoltre l’app è deliveroo nel caso di specie, quindi non era neanche vero che vengo penalizzato rifiutando. L’ho anche detto all’assessore che il problema era che non cerano altri rider a parte me! Ma ripeto come ho rifiutato 3 volte potevo farlo 4 o 5». Bazerla poi si riferisce direttamente a Bassi: «Se voleva poteva annullare l’ordine, sia prima che dopo 5 minuti dall’offerta contrattuale, ma se lo faceva dopo, io avrei ricevuto un indennizzo. Ma meglio così, se no arrivavo a Bussolengo e scoprivo di aver fatto la strada per niente e allora non sarebbe andato bene».

Le strumentalizzazioni

Un post di difesa del proprio lavoro che il ragazzo ha deciso di fare anche a causa delle strumentalizzazioni di cui, secondo il suo punto di vista, la categoria dei rider si ritrova a essere spesso vittima, «molte volte nominata a sproposito e con secondi fini». Per queste ragioni anche la richiesta finale: «Non vogliamo regole, siamo rider apposta, perché così ci lasciate in pace».

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