Macchinette da soldi. La pista del business delle scommesse dietro la latitanza di Messina Denaro

L’ipotesi investigativa degli inquirenti trae origine da due inchieste passate della Dda che vedono al centro Carlo Cattaneo e Calogero Luppino

Proseguono le indagini sul fiume di soldi di cui disponeva Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza. Una delle piste seguite dagli inquirenti, secondo quanto apprende l’Ansa, è che i contanti possano essere arrivati dai guadagni delle scommesse online. Quel che sembra fuor di dubbio è che il boss avrebbe mantenuto un alto livello di vita, considerati gli oggetti di valore elevato che sono stati trovati nel suo covo. L’ipotesi delle scommesse ha origine da due inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Palermo: una del 2018, a carico dell’imprenditore Carlo Cattaneo condannato a 16 anni di galera e su cui pesa una confisca di 300mila euro, e una del 2019 che coinvolse Calogero Jonn Luppino. Entrambi avevano a che fare con il settore delle scommesse online. A Luppino (nessuna parentela con l’autista del boss arrestato insieme a lui il 16 gennaio) è stata disposta una confisca milionaria dopo essere stato condannato a 18 anni di carcere per mafia, estorsione e intestazione fittizia di beni.


L’installazione delle macchinette nel trapanese

Chi avrebbe agevolato l’ascesa imprenditoriale di Luppino nel mondo dei giochi online sarebbero stati proprio alcuni esponenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, i quali agivano obbligando i vari esercizi commerciali della provincia di Trapani a installare le macchinette delle società. E come da classico copione mafioso: chi accettava riceveva protezione, chi rifiutava subiva pesanti ritorsioni. Tra chi sosteneva questa attività ci sarebbero stati proprio i familiari di Matteo Messina Denaro. Per quanto riguarda Cattaneo, invece, i giudici scrissero che «pur non essendo inserito organicamente nel sodalizio mafioso contribuiva in modo significativo al sostentamento economico dell’associazione, entrava in affari con la mafia che richiedeva “un pensiero” (denaro) per familiari di mafiosi in difficolta».


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