Rigopiano, la sentenza: condannato il sindaco, assolto l’ex prefetto e altri 24. L’urlo dei parenti: «Vergogna, venduti»

La decisione ha indignato i parenti delle vittime: la lettura della sentenza ha provocato urla e contestazioni

Due anni e otto mesi per il sindaco di Farindola (Pescara), Ilario Lacchetta, per mancata pulitura della strada: questo è quanto ha stabilito la sentenza di condanna del gup Gianluca Sarandrea, nel processo per la tragedia dell’Hotel Rigopiano, travolto e distrutto da una valanga il 18 gennaio 2017. Assolti invece l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo e, l’ex presidente della Provincia, Antonio Di Marco. A causa dell’incidente, morirono 29 persone: oggi, a sei anni dal disastro (e a tre anni e mezzo dall’inizio del processo), i parenti delle vittime si sono presentati al Tribunale di Pescara indossando o esponendo magliette con le foto dei propri cari. Molti di loro, tra le lacrime, hanno contestato la decisione del giudice, che ha assolto 25 imputati su 30: la lettura della sentenza ha scatenato il caos in aula: «Vergogna vergogna. Ingiustizia è fatta. Assassini. Venduti. Fate schifo», hanno urlato i parenti delle vittime.


La rabbia dei familiari

Le forze dell’ordine hanno dovuto trattenere alcuni di loro. «Questi qui hanno una discarica al posto del cuore! Speriamo nell’appello, ma se questo è l’andazzo non spero più niente, devo solo salvaguardare la mia vita per portare avanti il nome di mia figlia», ha commentato il padre di Jessica Tinari, morta nel resort di Farindola a 24 anni insieme al fidanzato Marco Tanda. «Sei anni buttati qua dentro! Per fare che? Tutti assolti, il fatto non sussiste!», ha urlato Francesco D’Angelo, fratello di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’hotel, morto nel crollo. Aggiungendo: «Quattro minuti di chiamata! Chi ha chiamato mio fratello? Chi ha chiamato?». Il riferimento è alle telefonate che Gabriele effettuò qualche ora prima della valanga: chiamò il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere di liberare la strada e consentire agli ospiti dell’hotel di lasciare la struttura. I 30 imputati, oltre al gestore e al proprietario della struttura, erano amministratori e funzionari pubblici, accusati a vario titolo dei reati di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi. «Giudice, non finisce qui», ha minacciato dopo la lettura della sentenza un superstite della tragedia, Giampaolo Matrone, 39 anni, di Monterotondo. Sotto la valanga perse la moglie Valentina Cicioni, infermiera al Gemelli. Le forze dell’ordine l’hanno poi allontanato dall’aula.


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