Il collega del medico suicida dopo aver ucciso la famiglia: «Al figlio voleva bene, non mi sono accorto che stava crollando»

Maurizio Ranieri racconta come era solito comportarsi Carlo Vincentini in reparto e della loro conoscenza ventennale

Non si da pace Maurizio Ranieri, il collega di Carlo Vicentini, urologo 70enne ed ex primario che il 31 marzo ha ucciso tutta la sua famiglia. Da gennaio ha preso il suo posto nel reparto di Urologia dell’ospedale di Teramo. «Il professore l’avevo sentito sabato scorso, era la persona di sempre, mi aveva accolto con quella che sembrava una battuta: sono qui al mare a Tortoreto, sto facendo una camminata da pensionato. Se mi fossi minimamente accorto che stava male o che era molto depresso, non avrei esitato a raggiungerlo a casa o a intervenire in qualche modo», racconta oggi in un’intervista di Nicola Catenaro sul Corriere della Sera. Vicentini ha ucciso la moglie Carla Pasqua, ex funzionaria di 69 anni, il figlio disabile Massimo (43enne), e la figlia Alessandra di anni 36 e anche lei medico. Poi si è tolto la vita.


Il rapporto con la famiglia: «Era premuroso con il figlio»

Ranieri conosceva Vicentini da oltre 20 anni perché era stato suo relatore nel ’94 per la tesi di laurea dell’università, in urologia. Dopo gli studi i due si sono incontrati nuovamente all’ospedale di Teramo dove Vicentini guidava il reparto. L’ultimo intervento insieme risale alla vigilia di Natale. «Tutto nella norma, come sempre. Lavoravo bene con lui perché era professionalmente molto preparato e aperto a tutte le novità. Era curioso e si interessava di molte cose, tanto che era un piacere sentirlo parlare. Sul lavoro, non aveva quasi mai indecisioni. Conosco tanti pazienti che gli devono la vita», racconta Ranieri. Per quanto riguarda il rapporto dell’ex primario con la famiglia, anche Ranieri sapeva poco perché i due non parlavano molto dell’argomento. Però ci tiene a sottolineare: «Sembrava voler bene alla sua famiglia e, nello specifico, a suo figlio Massimo, dalle cose che diceva al telefono quando rispondeva alla moglie. Quanta premura nelle sue parole quando chiedeva del figlio, affetto da distrofia. Immagino cosa debba essere stato vederlo soffrire per quarant’anni e non poter fare nulla, da medico, per contrastare la malattia».


«Non c’era nessun segnale depressivo»

«Non ci siamo mai accorti che fosse depresso. Non c’era nessun segnale, niente che lasciasse presagire un fatto così grave», spiega Ranieri. Per questi motivi, il collega di Vicentini non riesce a spiegarsi come possa essere accaduto. «Se è vero che lavorava molto – commenta -, è altrettanto vero che non fuggiva mai dai suoi doveri familiari. La prima cosa che faceva era tornare a casa dal figlio, che spesso accudiva anche durante la notte e nelle prime ore del mattino prima di partire per Teramo. Li vedevo spesso insieme, anche al mare. Carlo e Massimo erano legatissimi».

Leggi anche: