Chi ha ucciso Tatarsky? L’accusa a Darya Trepova, la pista ucraina e quella dei partigiani russi

Mosca accusa Kiev. L’omicidio di Maksim Fomin collegato a quello di Dugina. Ma c’è chi parla di dissenso interno. E dice che il vero obiettivo è Putin

Chi ha ucciso Vladlen Tatarsky? Il blogger Maksim Fomin è morto in un attentato a San Pietroburgo nel Patriot Bar dove si riuniva il Kiberfront-Z, un’organizzazione patriottica. Il locale sarebbe di proprietà di Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner. La polizia russa ha arrestato ieri quella che considera l’esecutrice dell’attentato. Ovvero Darya Trepova. Accusata di aver portato la statuetta che doveva ricevere come premio Tatarsky e che invece era imbottita di dinamite. Lei invece dice di essere stata incastrata. E suo marito sta con lei. Intanto Mosca ha le idee chiare sull’attentato: accusa l’Ucraina e i sostenitori di Navalny. «Il regime di Kiev è dietro l’assassinio sia di Darya Dugina (figlia 30enne del filosofo ultranazionalista russo Alexander Dugin, ndr) e molto probabilmente dietro l’assassinio di Fomin», ha concluso il funzionario russo, ha detto ieri Dmitry Peskov.


L’omicidio di Fomin e quello di Dugina

Di certo, spiega oggi il Corriere della Sera, tra l’omicidio di Fomin e quello di Dugina ci sono molte analogie. L’indagine delle autorità si basa su testimonianze e immagini delle telecamere di sicurezza. Nelle quali si vede Trepova che si presenta con il regalo per Tatarsky. Alla porta l’avevano respinta ma è stato proprio il blogger a invitarla a entrare. Nei mesi scorsi aveva ricevuto minacce. Nel video si vede che la statuetta viene passata da un uomo. Poi la deflagrazione. L’accusa all’Ucraina, spiega il quotidiano, è credibile se non altro perché ci sono precedenti. Prigozhin invece, in maniera piuttosto criptica, ha chiamato in causa altri ambienti, quelli radicali, per l’organizzazione dell’omicidio. Poi si è attribuito la presa di Bakhmut con dedica a Tatarsky, circostanza smentita da Kiev ma che fa capire che si giocano due partite: quella dell’indagine e quella della propaganda.


La colpevole perfetta

D’altro canto Darya Trepova è la colpevole perfetta. Nata nel 1997, frequenta circoli di femministe nella città e fa attivismo politico. Usa come pseudonimo quello di Dasha Tykovka, che significa “Piccola zucca”. Ha lavorato come commessa in un negozio di abiti vintage, ha frequentato la facoltà di medicina, si è trasferita qualche mese fa a Mosca. È tornata a San Pietroburgo solo in occasione dell’attentato. Il 2 aprile doveva andarsene dalla Russia. Lei e suo marito Dmitrj Rylov sono stati fermati il 24 febbraio 2022 durante un comizio contro la guerra in Ucraina. Lei si è presa dieci giorni di arresto amministrativo. Il marito fa parte del Partito Libertario e ha fatto sapere di non avere nulla a che fare con l’accaduto. Secondo le amiche di lei il matrimonio è stato una formalità. «Lei pensava che nel busto fosse nascosto un congegno di ascolto», ha detto lui per scagionarla.

L’accusa e la difesa

Lo scorso 9 marzo Darya Trepova si era infatti iscritta al Registro statale dei liberi professionisti elencando le sue attività: produzione di abbigliamento e accessori. Questo un po’ stona con il ritratto di una dissidente pronta a uccidere. Un suo amico è stato arrestato. «Sono sicuro che lei non avesse idea di cosa stava per portare in quel bar. Ho parlato con lei dopo l’esplosione, ma dal nostro colloquio era chiaro come fosse certa che dentro il regalo era stato messo un dispositivo d’ascolto. Ma sicuramente non doveva essere una bomba», ha specificato ancora il marito. «Potrei essere morta lì. Vorrei essere morta lì. Sono stata incastrata», avrebbe scritto invece lei in un messaggio a un’amica poi cancellato. La Repubblica invece racconta che Trepova aveva detto ai suoi amici di aver trovato lavoro per alcuni giornalisti ucraini. I suoi incarichi prevedevano la consegna di pacchi, inclusa la statuetta per Tatarsky. Secondo alcuni testimoni lo conosceva già. Aveva scambiato messaggi con lui e il 28 marzo aveva seguito una sua conferenza all’Università nuova di Mosca.

I partigiani russi

Ilya Ponomarev, politico russo in esilio in Ucraina, ha detto invece ieri all’AdnKronos che «ovviamente il governo ucraino non ha niente a che fare» con l’attentato. «Sono stati i partigiani russi», per la precisione «un gruppo locale di San Pietroburgo. Conosco le persone che sono dietro l’attacco, ma non posso rivelare nulla. Sono loro che devono fare una dichiarazione pubblica e non voglio fare niente contro la loro volontà», ha sostenuto l’ex deputato della Duma, precisando di non aver mai sentito il nome di Darya Trepova. «Non ho mai sentito il suo nome prima. Non ci conosciamo, quindi non posso dire nulla al riguardo», ha detto. E non ritiene l’attentato un segnale alla Wagner: «È stato un segnale in generale per le élite russe che Putin non è in grado di proteggere nessuno, che tutti sono in pericolo e che se si sostiene la guerra è meglio stare attenti».

Un paese in guerra

Per il politico in esilio la Russia è «un paese in guerra e un paese in guerra, per definizione, non può essere un luogo sicuro». Secondo il dissidente questi sono i segnali che indicano «un aumento continuo dell’instabilità interna in Russia» e che «a resistenza c’è e crescerà. E ovviamente continuerà a fare pressione sui circoli pro-guerra. Non si tratta di un qualcosa di cui i civili devono aver paura, ma comunque la guerra sta arrivando in Russia». Ponomarev ritiene infine che Putin stia perdendo forza, non sia più lucido né in grado di guidare la Russia. «Sta diventando sempre più debole, agisce di impulso su molte questioni e non sembra una persona che abbia una strategia politica o militare coerente. E mentre sul campo di battaglia l’esercito russo non può ottenere alcun risultato, all’interno della Russia sempre più persone iniziano a considerare Putin come un’anatra zoppa, come una persona incapace di guidare il paese».

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