Sudan, spiraglio tra gli scontri: esercito e paramilitari consentono l’apertura di corridoi umanitari. Diplomazia al lavoro per il cessate il fuoco

Lo hanno annunciato sui social entrambe le parti coinvolte: «Accettiamo la proposta delle Nazioni Unite di aprire le rotte sicure tre- quattro ore»

È arrivata un’intesa (temporanea) tra le fazioni in Sudan. L’esercito sudanese e i paramilitari si sono dichiarati disponili all’apertura momentanea, della durata di tre o quattro ore, di corridoi umanitari chiesti dall’Onu, pur riservandosi però il diritto di rispondere al fuoco della parte avversa. Gli annunci sono stati dati da entrambe le parti sui propri canali social: «Le Forze Armate sudanesi accettano la proposta delle Nazioni Unite di aprire le rotte sicure per i casi umanitari per un periodo di tre ore, a partire dalle quattro del pomeriggio, a condizione che ciò non neghi il loro diritto di rappresaglia contro eventuali eccessi delle milizie ribelli», si legge nel post pubblicato su Facebook dall’Ufficio del Portavoce Ufficiale delle Forze Armate Sudanesi. Dello stesso tono, l’annuncio delle Forze di Supporto Rapido sudanesi che su Twitter fanno sapere di aver accettato la «richiesta dell’Onu da adesso (16 ora locale e italiana) e per quattro ore», scrivono le Rfs in un tweet aggiungendo inoltre di «riservarsi il diritto di proteggere i cittadini e di rispondere a qualsiasi attacco di golpisti e milizie del regime». Nonostante lo spiraglio tra gli scontri nel Paese, a Khartoum si continua a sentire «spari, colpi di artiglieria e forti esplosioni»: lo riferisce un testimone che si trova nella capitale. «Sparano ovunque», ha detto la fonte qualificata in contatto con altre persone nella città sudanese.


Nel frattempo, il capo dell’Unione africana (Ua), Moussa Faki Mahamat, ha annunciato che «andrà direttamente» nel Paese per spingere le fazioni coinvolte negli scontri a «un cessato il fuoco»: è quanto da un comunicato adottato oggi dal Consiglio per la pace e la sicurezza (Psc) della stessa Ua sulla situazione in Sudan, con l’annuncio di una propria «missione sul campo». Il Psc «chiede – si legge nella nota pubblicata sul sito dell’Unione africana – al Presidente della Commissione dell’Ua di continuare a usare i suoi buoni uffici per impegnarsi con le parti in conflitto al fine di facilitare il dialogo e la risoluzione pacifica del conflitto in Sudan; e loda il suo impegno a recarsi immediatamente in Sudan per impegnare le parti verso un cessate il fuoco». E poi ancora: «Il Consiglio per la pace e la sicurezza decide inoltre che questo Consiglio intraprenderà una missione sul campo in Sudan al fine di impegnarsi con tutte le parti interessate sudanesi sulla situazione del paese». Il consiglio premette fra l’altro che l’Ua «chiede di rispettare un immediato cessate il fuoco da parte delle due parti senza condizioni, nel supremo interesse del Sudan e del suo popolo, di proteggere i civili, in particolare donne e bambini, e di fornire sostegno umanitario ai civili coinvolti nel conflitto».


Il secondo giorno di scontri

Per il secondo giorno consecutivo proseguono gli scontri nella capitale del Sudan: secondo un primo bilancio del Comitato centrale dei medici sudanesi, nella capitale ci sono stati almeno 25 morti e 302 feriti, un numero che nel paese sale fino a 56 morti e quasi 600 feriti, sia tra i civili sia tra i militari. Sullo sfondo dei pesanti scontri c’è la rivalità politica che prosegue da diversi mesi tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano che al momento guida il Paese, Abdel-Fattah Al-Burhan e il filorusso Mohamed Hamdan Dagalo, protagonisti del colpo di Stato del 2021. I paramilitari sudanesi delle Forze di supporto rapido (Rfs) cercano di prendere il potere e di allontanare l’esercito in una prova di forza fatta di incursioni, sparatorie, raid aerei, mobilitazioni di blindati e annunci contrastanti in diverse città del Sudan.

Oggi, domenica 16 aprile, gli scontri a fuoco proseguono nei sobborghi settentrionali e meridionali della capitale. Per arginare le violenze e capire come mediare tra le parti, la Lega Araba terrà una riunione di emergenza al Cairo, su richiesta di Egitto e Arabia Saudita. Ma il conflitto prosegue ormai, in diverse forme, da settimane, impedendo così una soluzione pacifica e politica in un Paese che, dal 2019, sta provando a organizzare le prime elezioni libere dopo 30 anni di dittatura islamico-militare. A Il Cairo fonti aeroportuali segnalano la chiusura dello spazio aereo sudanese. Il leader dei paramilitari avrebbe anche chiesto ad al Burhan di arrendersi: «È assediato, non abbiamo contatti con lui ma deve arrendersi».

Le conseguenze della guerra in Ucraina

A indicare un collegamento tra quanto sta succedendo in Sudan e la guerra in Ucraina, in una intervista a Qn, è il sacerdote comboniano Giulio Albanese. «L’Occidente vuole che vi sia la transizione verso la democrazia ma gli interessi sono molteplici», spiega, «Hemeti Dagalo è filorusso, molto amico di Lavrov. Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina andò in visita a Mosca. Di recente Lavrov ha ricambiato l’omaggio. E da tempo i mercenari del gruppo Wagner si sono stabiliti nel Paese, mentre prima i rapporti militari si limitavano alle forniture di armi».

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