Il gip l’aveva condannata con un decreto penale a quattro mesi di reclusione, commutati in una multa di 9.050 euro. Ma lei si è opposta ed è partito il processo. Lo scorso 12 gennaio, è arrivata l’assoluzione per Selene Ticchi. Oggi 25 aprile, con paradossale coincidenza di calendario, sono state diffuse le motivazioni della sentenza: secondo il Tribunale di Forlì, mancano le prove sulla «portata distintiva» del logo «Auschwitzland» e sul fatto che quella maglietta sia riferibile «a una qualche organizzazione attualmente esistente che propugni ideologie fondate sull’odio razziale». Dunque, «non può che pervenirsi a una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste». Ragioni che non convincono la pm Laura Brunelli: impugnerà la sentenza in Cassazione. Per la Procura, l’immagine dell’ingresso del campo di sterminio non può non essere ritenuto un segno grafico dotato di portata distintiva. «La rappresentazione di esso, ancorché in offensiva “forma grafica giocosa” rimanda sempre, pesantemente, al genocidio degli ebrei la cui denigrazione, mediante raffigurazione con stampa “Disney”, assume maggior efficacia di apologia della Shoah». Il luogo, poi, dove la militante di Forza nuova indossò quella t-shirt, Predappio, «attribuisce a quel logo la forza di “simbolo usuale” di gruppi nazifascisti fondati sull’odio razziale e sull’apologia della Shoah». Ticchi indossò la t-shirt il 28 ottobre 2018, a Predappio, nell’anniversario della Marcia su Roma.
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