Lavorare quattro giorni a settimana? L’esperto Gomes: «Ecco perché tra 15 anni sarà realtà per tutte le aziende» – L’intervista

La previsione dell’economista della Birkbeck University, consulente del governo portoghese per lanciare un progetto pilota nel Paese

«8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire». È passato quasi un secolo e mezzo dal 1° maggio 1886, il giorno in cui a Chicago scoppiò la Rivolta di Haymarket, uno sciopero per chiedere il tetto massimo giornaliero di otto ore lavorative. La manifestazione diede vita a una delle conquiste sociali più importanti per il movimento dei lavoratori, a cui farà seguito qualche decennio più tardi il diritto a due giorni di riposo settimanali. Entrambi i provvedimenti furono osteggiati con forza dalle imprese: «Sarà una calamità per i lavoratori», «È un’utopia», «Danneggerà l’economia», si lamentavano all’unisono i datori di lavoro. «Sono letteralmente le stesse critiche che vengono fatte oggi alla settimana lavorativa di 4 giorni», fa notare Pedro Gomes, docente di Economia alla Birkbeck University di Londra e autore del libro Finalmente è giovedì! (Editori Laterza), in uscita il 19 maggio. È a lui che si è rivolto il governo portoghese per lanciare il progetto pilota sulla «settimana corta», aperto a tutte le aziende che – su base volontaria – propongono ai propri dipendenti una riduzione delle ore di lavoro settimanali a parità di stipendio. «Negli ultimi 50 anni è cambiato tutto nella nostra società, ma non il modo in cui organizziamo il lavoro, che oggi ha raggiunto un’intensità insostenibile», spiega Gomes a Open.


Nel Regno Unito è stato avviata una delle sperimentazioni più estese della settimana corta, promossa da 4 day week global, che ha coinvolto 61 aziende e circa 3mila dipendenti. E i risultati sono stati incoraggianti: dipendenti più felici e meno stressati, produttività in aumento, riduzione dei costi a carico delle aziende. Al punto che, al termine dei sei mesi di prova, 38 imprese hanno deciso di estendere la sperimentazione e altre 18 hanno adottato la settimana corta come soluzione permanente. In Italia, la proposta di una settimana lavorativa di 4 giorni sembra aver ricevuto meno attenzione che altrove. Le aziende che hanno provato a introdurla si contano sulle dita di una mano: Intesa San Paolo, Tria spa e poche altre. Dal governo non è stata mai proposta una sperimentazione vera e propria su larga scala, ma sembra che i sindacati si stiano preparando a dare battaglia. Dal palco dell’ultimo congresso della Cgil, il segretario Maurizio Landini ha proposto di inserire la settimana lavorativa di quattro giorni nei contratti collettivi nazionali. Una proposta che, almeno per ora, non ha ancora trovato una vera applicazione.


Professore, lei sostiene una tesi che potrebbe sembrare controintuitiva: la settimana lavorativa di quattro giorni fa bene all’economia. Cosa intende?

«Non c’è niente di naturale nel lavorare cinque giorni. La settimana lavorativa è un costrutto sociale, politico ed economico che dovrebbe cambiare ed evolversi man mano che le società cambiano ed evolvono. Negli ultimi cinquant’anni, tutto nella nostra società è cambiato: la velocità con cui comunichiamo, i tipi di lavoro che svolgiamo, la tecnologia che utilizziamo, il numero di anni che studiamo, la durata della nostra vita, la struttura della nostra famiglie o il ruolo delle donne nella società. Ma il modo in cui organizziamo il lavoro non è cambiato. Dovremmo adottare la settimana di 4 giorni, non solo perché siamo più ricchi o perché le persone saranno più felici con più tempo libero. I profondi cambiamenti strutturali degli ultimi 50 anni hanno reso obsoleta la settimana di 5 giorni e richiedono un cambiamento. Per questo considero la settimana di 4 giorni un’innovazione sociale e un modo per organizzare meglio l’economia del XXI secolo».

Il suo libro elenca i numerosi vantaggi offerti dalla settimana lavorativa di 4 giorni. Quali sono invece gli “effetti collaterali”?

«Tutte le critiche che si sentono oggi sulla settimana di 4 giorni sono letteralmente le stesse che venivano fatto alla settimana di 5 giorni negli anni ’30: “Sarà una calamità per i lavoratori”, “È un’utopia”, “È impraticabile in ogni settore”, “Farà diventare pigre le persone”, “Porterà a un forte taglio dei salari”. La cosa più notevole è che in quel caso i critici sono scomparsi dopo l’adozione della settimana di 5 giorni. Nessuno voleva tornare indietro e organizzare la società attorno a una settimana di 6 giorni. Non solo: poco più tardi, nel 1956, il vicepresidente Richard Nixon prevedeva che presto sarebbe arrivata la settimana di 4 giorni. Ciò è accaduto perché le persone si sono rese conto che la settimana di 5 giorni era un modo migliore per organizzare l’economia del XX secolo, un’economia fondamentalmente diversa dal secolo precedente».

I primi studi sulla settimana lavorativa di 4 giorni risalgono agli anni ’70 e ’80. Eppure, finora l’idea non ha mai preso davvero piede. Perché?

«L’endorsement più notevole fu quello di Paul Samuelson, considerato oggi il padre dell’economia moderna. Nel 1970 (lo stesso anno in cui vinse il Premio Nobel) definì la settimana di 4 giorni un’importante invenzione sociale. Al pari di altri economisti, Samuelson era consapevole della riduzione storica dell’orario di lavoro e prevedeva che avrebbe naturalmente continuato a diminuire man mano che le società sarebbero diventate più ricche. Diverse crisi economiche negli anni ’70 e ’80 hanno raffreddato l’entusiasmo e l’idea è stata dimenticata. La pandemia è stata un punto di svolta. Ci ha mostrato non solo che possiamo cambiare facilmente il modo in cui lavoriamo, ma anche che dobbiamo farlo: l’intensità del lavoro oggi è diventata insostenibile».

Nel suo ultimo libro, lei sostiene che la proposta di una settimana corta «può essere abbracciata da tutte le forze politiche». L’impressione però è che siano soprattutto i partiti progressisti a spingere questa idea.

«La settimana di 4 giorni è stata promossa dai partiti di sinistra, utilizzando argomenti sociali di benessere (“Dovremmo lavorare per vivere, non vivere per lavorare”), parità di genere o ambiente. È un argomento valido come piattaforma politica, ma per quanto riguarda l’economia, danno per scontato che porterà alla decrescita. Ecco, io credo che le basi economiche a favore della settimana di 4 giorni siano molto più forti di così e che possano piacere anche ai conservatori o ai liberali. In Road to Serfdom di Friedrich Hayek, il padre del liberalismo afferma che il governo dovrebbe far funzionare i mercati, ma uno dei pochi interventi che dovrebbe fare è proprio quello di legiferare sull’orario di lavoro. Non danneggia la concorrenza, perché colpisce tutte le imprese allo stesso modo».

Ci sono Paesi che hanno approvato una legge simile?

«Il passaggio della settimana lavorativa da 6 a 5 giorni è iniziato con le aziende pioniere, come Ford Motor Company nel 1926, ma è stato generalizzato all’intera economia solo attraverso la legislazione del governo. Possiamo fidarci delle migliori aziende per dimostrare che è possibile accorciare la settimana lavorativa, ma non possiamo fidarci che tutte le aziende lo facciano senza l’intervento del governo. Al momento, nessun Paese ha intrapreso la via legislativa. La proposta più vicina alla mia idea di settimana corta è quella del deputato democratico Mark Takano in California, che ha presentato un disegno di legge per stabilire una settimana lavorativa standard di 32 ore».

Uno dei problemi cronici del mercato del lavoro in Italia è la bassa produttività. Come può aiutare la settimana lavorativa di 4 giorni?

«La produttività è la chiave e può aumentare solo in due modi: se produciamo di più nello stesso lasso di tempo o se produciamo la stessa quantità ma in meno tempo. Il secondo percorso – quello della settimana di 4 giorni – è valido quanto il primo, solo meno naturale. Diverse aziende, in vari settori, stanno dimostrando di poter ridurre la settimana lavorativa dei propri dipendenti pur mantenendo il servizio clienti e tutti i risultati. Anche se questo non farà crescere l’economia, non si può pensare al tempo dedicato ai lavoratori come a uno spreco: ogni atto di svago ha un ritorno economico per qualcuno. Qual è la produttività di un ristorante o un hotel vuoto? Come diceva John Maynard Keynes, un’economia senza clienti è sclerotica e le persone senza tempo non sono buoni clienti. Abbiamo bisogno di soldi per consumare, ma abbiamo anche bisogno di tempo per noi stessi. La settimana di 4 giorni stimolerà l’economia attraverso la domanda di industrie del tempo libero, intrattenimento, cultura, ospitalità e turismo».

E per quanto riguarda i salari? Anche su questo l’Italia ha parecchia strada da recuperare…

«La settimana di 4 giorni promuoverà “l’imprenditorialità ibrida”: avviare un’impresa pur mantenendo un lavoro a tempo pieno. Molte aziende di successo, come Ford, Apple o Nike, hanno iniziato così. L’Italia è all’ultimo posto rispetto ai grandi Paesi europei nella maggior parte degli aspetti dell’ecosistema imprenditoriale. Uno dei motivi principali è la paura del fallimento. Più tempo libero consentirà ad alcuni lavoratori con idee promettenti ma poca ricchezza, di sviluppare la propria attività a parte, pur avendo la sicurezza di un salario stabile. Tutti questi meccanismi renderanno l’economia più dinamica, innovativa e produttiva, creando posti di lavoro meglio retribuiti. Se la domanda di lavoratori aumenta e l’offerta di ore per lavoratore diminuisce, le forze di mercato garantiranno salari più alti».

In Italia sono pochissime le aziende che hanno sperimentato la settimana lavorativa di 4 giorni. Una di queste, Intesa Sanpaolo, ha offerto ai propri dipendenti la possibilità di fare quattro turni di 9 ore, riducendo il monte ore settimanale da 37,5 a 36 ore a parità di stipendio. È un buon compromesso o una “falsa soluzione”?

«È un buon compromesso, a patto che ci sia un’effettiva riduzione dell’orario settimanale. L’anno scorso sono stato invitato dal governo portoghese a coordinare il progetto pilota di 4 giorni settimanali, che si svolgerà da giugno a novembre 2023. Abbiamo definito tre princìpi: è volontario e reversibile per le imprese; non può comportare tagli salariali; deve comportare una riduzione significativa delle ore settimanali a 36, 34 o 32. Per molte aziende, ridurre da 40 a 32 ore è un grande salto, quindi cercano passaggi intermedi. Alcuni optano per una settimana di 36 ore, con giorni di 9 ore. Penso che questo sia accettabile per molti lavori d’ufficio in cui i lavoratori spesso rimangono oltre le 8 ore».

L’idea sta suscitando sempre più interesse in tutto il mondo. Eppure le cose sembrano evolversi molto lentamente. Cosa serve affinché l’idea sfondi una volta per tutte?

«Il passaggio a una settimana di 4 giorni non può avvenire dall’oggi al domani. È un processo che richiederà molti anni e richiederà un po’ di attivismo e molto coraggio. Innanzitutto, le grandi aziende devono mettere da parte i loro pregiudizi e fare esperimenti. Dopodiché, avremo bisogno che i sindacati spingano per una riduzione dell’orario invece di un aumento dei salari e inseriscano la settimana di 4 giorni nell’agenda dei contratti collettivi. Avremo anche bisogno che i politici facciano piccoli passi, come la creazione di programmi pilota in Spagna e Portogallo. Infine, servirà uno statista di centrosinistra o centrodestra per rendersi conto che la settimana di 4 giorni è il modo migliore per riconciliare una società profondamente polarizzata e avere l’audacia di scrivere il proprio nome nei libri di storia».

E quando potrebbe accadere tutto questo?

«Sono ottimista e penso che tra 15 anni la maggior parte dei lavoratori avrà una settimana di 4 giorni. A quel punto, la settimana lavorativa di 5 giorni diventerà un semplice ricordo».

L’idea di lavorare soltanto 4 giorni piace, non c’è dubbio. Però l’impressione è che venga ancora considerata come un’utopia.

«Anche la settimana di 5 giorni era vista come un’utopia, così come il voto delle donne o portare l’uomo sulla Luna. La settimana di 4 giorni è alla nostra portata. Arrivarci sarà difficile, perché dovremo cambiare il modo in cui lavoriamo e organizziamo la società. Non dico neanche che sarà facile, ma credo che valga la pena provarci. Se facciamo della settimana di 4 giorni il nostro obiettivo comune, e lavoriamo tutti insieme – aziende e lavoratori, politici di sinistra e di destra, settore pubblico e privato – allora possiamo farcela».

Credits foto: FREEPIK/CreativeArt

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