Emanuela Orlandi, la falsa lettera dell’arcivescovo di Canterbury e il depistaggio che punta al Vaticano

Il fratello della cittadina vaticana scomparsa Pietro mostra una missiva di un prete anglicano. Ma è un artefatto. Come tanti in questo strano caso

Chi è che tortura la sintassi inglese per spargere falsi sul caso di Emanuela Orlandi? Ieri Pietro il fratello della cittadina vaticana scomparsa a Roma il 22 giugno del 1983 a SkyTg24 ha parlato di una presunta missiva che risale al 6 febbraio 1993 e spedita dall’allora arcivescovo di Canterbury George Carey al cardinale Ugo Poletti. Pietro Orlandi ha detto di aver consegnato insieme all’avvocata Laura Sgrò quella lettera al promotore di giustizia Alessandro Diddi che indaga in Vaticano sulla “ragazza con la fascetta”. E dice che la missiva costituisce un indizio del fatto che la sorella dopo la scomparsa sia stata portata proprio a Londra, dove ha vissuto per un certo periodo fino alla morte. Esattamente come si ricostruiva in una delle tante (e fragili) piste religiose sul caso.


La presunta nota spese del Vaticano

Parliamo della “nota spese” del Vaticano di cinque pagine emersa sui giornali nel 2017. È datata marzo 1998 e sarebbe stata inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo è “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma, 14 gennaio1968)“. Descrive proprio un rendiconto delle spese per la “Vatican Girl” e promette 197 pagine di allegati con fatture. Che però non ci sono. Contiene degli errori nell’intestazione e nella scrittura di uno dei due nomi dei cardinali chiamati in causa. Pietro Orlandi nota che la lettera risale a quando Poletti non era più vicario di Roma. «La cosa strana è che viene spedita in quel luogo a Londra che fa riferimento anche ai cinque fogli: Clapham Road», sostiene.


La presunta lettera di Carey a Poletti

Il testo della lettera è questo: «Dear Eminence, knowing that you will be here in London for a few days, I feel obliged to invite you to visit me in the coming days to personally discuss the situation of Emanuela Orlandi of which I am aware. After years of correspondence, I think it’s only fair to discuss a situation of such importance personally. Let me know if you need a personal translator or if you will bring it with you. I await your response in the next few days».

La traduzione: «Cara Eminenza, sapendo che sarà per qualche giorno qui a Londra, mi sento in dovere di invitarla a farmi visita nei prossimi giorni per discutere personalmente la situazione di Emanuela Orlandi di cui sono a conoscenza. Dopo anni di corrispondenza, penso sia giusto discutere di una situazione di tale importanza personalmente. Mi faccia sapere se può servirle un traduttore personale o se nel caso la porterà con lei. Attendo la sua risposta nei prossimi giorni».

George Cantuar

La missiva è firmata “George Cantuar”. Ovvero il modo in cui si firma per tradizione l’arcivescovo di Canterbury. L’indirizzo è quello citato nel documento di cinque fogli: Clapham Road 170. La firma presente nel documento, con una piccola croce prima del nome e cognome come da abitudine anglicana, è autentica. Nel senso che lo stesso Carey l’ha riconosciuta come vera. Ma qui finiscono le verosimiglianze. Come ha scritto Domani, che ha pubblicato la lettera prima che ne parlassero Sky e “Chi l’ha visto?” la firma sarebbe stata apposta sul documento – che è una fotocopia – e su Ebay si trovano cartoline in vendita dove appare un autografo molto simile.

La risposta di Carey

Ma soprattutto a smentirla c’è la risposta di Carey. Il quale a Domani fa notare che la lettera è scritta su una carta che non reca un’intestazione corretta. Contiene poi alcuni errori di sintassi e di grammatica. E in definitiva non sarebbe stata ritenuta conforme agli standard qualitativi per la corrispondenza di Lambeth Palace. Il figlio Andrew, che è attualmente il suo segretario, risponde anche a “Chi l’ha visto?“. E conferma che il padre della scomparsa di Emanuela Orlandi non sa nulla e che la lettera è scritta in un «very poor English, tortured syntax and not on Lambeth Palace Letterhead».

Il depistaggio

Insomma, la lettera è un falso. Ed è stata prodotta appositamente. Nel caso Orlandi i depistaggi hanno coinvolto l’intera prima fase delle indagini, con la nascita della pista turca e del terrorismo internazionale avallata persino da Papa Wojtyla. Ma all’epoca nessuno dei tanti “fronti” impegnati nei “komunicati” ha mai dato prova di avere a disposizione la ragazza in vita. Oggi torna il depistaggio. Ma mentre all’epoca il tutto si poteva inquadrare nella vicenda di Alì Agça, oggi c’è qualcuno che evidentemente si muove in base ad altri interessi. Sia il “rendiconto” che questa lettera sembrano voler direzionare le indagini verso il Vaticano e verso la pista di Londra. Chissà per quali scopi.

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