Perché il caso Rovigo conferma che abbiamo un altro problema: adulti incapaci di mettere limiti chiari ai ragazzi
Tra i genitori di età compresa tra i 35 e i 50 anni va molto di moda una riflessione che, più o meno, suona così «siamo una generazione sfigata. Quando eravamo figli, non contavamo nulla, perché comandavano solo i genitori e noi dovevamo stare zitti. Ora che siamo genitori, non contiamo nulla lo stesso, perché contano solo i figli e noi dobbiamo continuare a stare zitti». Questa analisi, sintetica ma tutto sommato realistica, mi è tornata in mente leggendo l’incredibile storia della professoressa di Rovigo colpita dai pallini “sparati” dai propri alunni. Una bravata perdonata dal consiglio dei docenti che ha ritenuto di assegnare loro un 8 e un 9 in condotta, come se nulla fosse accaduto. Non è tanto questo voto, seppure incredibile, ad aver rievocato l’amara analisi che spopola tra i genitori contemporanei, quanto quello che è accaduto dopo: l’ispezione sollecitata dal Ministero dell’Istruzione ha imposto la revisione dei voti, ma ancora una volta gli studenti sono stati graziati, ricevendo voti compresi tra il 6 e il 7 in condotta.
La prima volta può scappare l’errore, ma se questo si ripete non è un caso, si tratta di una scelta ben precisa: non c’è la volontà di adottare nel rapporto con gli adolescenti un “linguaggio” adulto e responsabile, non si ritiene necessario e opportuno applicare loro quel sistema semplice – a volte anche rozzo e superficiale – di premi (pochi) e punizioni (inesorabili) che aveva caratterizzato il rapporto tra adulti\adolescenti nella generazione precedente. Il sistema scolastico ha paura di prendere di petto dei giovani, non riuscendo a sanzionare una condotta violenta con misure più dure di un semplice buffetto sulla guancia, perché sono gli stessi genitori a non volere l’adozione di un metro diverso e più rigoroso.
E’ di qualche settimana fa la notizia di una famiglia lombarda che ha annunciato l’intenzione di proporre ricorso al TAR contro la bocciatura del figlio che aveva accoltellato la professoressa di storia; intenzione motivata dal fatto che, a dire della famiglia, il giovane rampollo “aveva ottimi voti” e fondata anche sulla negazione della gravità dei fatti (“tutti da accertare”). La stessa vicenda due, tre o quattro decenni fa avrebbe causato nell’adolescente di turno punizioni draconiane da parte di scuola e genitori, magari anche eccessive ma comunque improntate a un approccio diametralmente opposto rispetto a quello oggi imperante (era da escludere qualsiasi forma di garantismo…). E’ ancora più recente la tragica vicenda degli youtuber di Casalpalocco, che – a prescindere dai risvolti penali, tutti ancora da chiarire – ha messo in luce la realtà di giovani appena usciti dall’adolescenza che idolatrano alcuni beni di consumo come veri e propri “miti” (a partire dalle macchine sportive) con il sostegno esplicito di genitori che sembrano preoccupati soprattutto dall’esigenza di compiacere i figli.
Atteggiamenti che appaiono del tutto coerenti con l’ormai conclamata impossibilità di imporre delle regole educative minime ai giovani e giovanissimi nei primi contesti pubblici cui si affacciano durante i primi anni della loro vita: che si tratti dell’uso del cellulare a scuola o del rispetto delle regole basilari nelle competizioni sportive, chiunque provi a limitare la libertà indiscriminata di questa generazione di “pargoli-dominatori” deve affrontare l’ira funesta di genitori inferociti. Il terrore di rendersi antipatici ai propri figli ha portato la generazione di genitori che oscilla tra i 35 e i 50 anni (e il sistema educativo che essi hanno contributo a costruire) a mettere in secondo piano il principio di base che regola qualsiasi forma di convivenza civile: il principio di autorità, l’obbligo di rispettare le regole imposte da chi questa autorità la rappresenta (con le conseguenti sanzioni per chi le viola). Come insegnano tanti esperti di psichiatria e pedagogia, gli adolescenti hanno un disperato bisogno di autorità. Pensare di trasformare i figli in “amici” negando questo principio – assecondando ogni loro sbaglio, aiutandoli ad impugnare le sanzioni giuste e rimuovendo gli ostacoli che la vita inevitabilmente gli mette di fronte – genera danni incalcolabili, ben più gravi di quelli che produrrebbe una “sana” bocciatura per motivi disciplinari.
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