Strage di Samarate, Alessandro Maja condannato all’ergastolo per l’assassinio di moglie e figlia

Dopo 5 ore di camera di consiglio, i giudici hanno disposto per il 57enne anche l’isolamento diurno per 18 mesi

La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha condannato all’ergastolo e a 18 mesi di isolamento diurno Alessandro Maja, l’imprenditore di Samarate, in provincia di Varese, che la notte del 4 maggio 2022 uccise a martellate la moglie Stafania Pivetta e la figlia Giulia di 16 anni, oltre a ferire gravemente suo figlio maggiore Nicolò. La procura aveva chiesto lo scorso 23 giugno l’ergastolo per Maja, reo confesso dei delitti, mentre la difesa aveva chiesto l’applicazione delle attenuanti generiche e il riconoscimento del parziale vizio di mente. La sentenza è arrivata dopo 5 ore di camera di consiglio. Colpito alla testa, Nicolò Maja, che oggi ha 21 anni, era stato trasportato in rianimazione all’ospedale di Varese. Ne uscì mesi dopo, dopo essere stato in coma e aver subito una serie di interventi chirurgici. Oggi si è presentato in aula, per la prima volta in piedi, senza sedia a rotelle. «Non lo perdonerò mai, ma vorrei incontrarlo per capire, per chiedere perché ha deciso di distruggere la nostra famiglia», ha detto poco prima della pronuncia della sentenza il giovane. Fin da quando ha riaperto gli occhi, dopo settimane di coma, la sua prima domanda è stata «perché?». Una domanda a cui sin qui non è mai arrivata una risposta certa, né dal padre né dall’inchiesta.


I possibili moventi della strage famigliare

Inizialmente gli investigatori avevano ipotizzato una possibile fine del matrimonio, poi sconfessata, per poi concentrarsi su ipotetici dissesti economici. Anche in questo caso, però, dalle verifiche non era emersa alcuna difficoltà finanziaria. Dopo aver colpito nel sonno con un martello i tre familiari, ricorda l’Ansa, Maja era uscito sul balcone, gridando «li ho uccisi tutti, bastardi». Frase che l’interessato ha più
volte ribadito di non ricordare, men che meno spiegare. Nell’udienza del 18 maggio scorso, Alessandro Maja aveva provato a «chiedere perdono per qualcosa di imperdonabile». Ad attendere la sentenza, oltre agli avvocati di parte civile, c’erano Nicolò, con indosso una maglietta con raffigurato il viso di Giulia e Stefania, e lo zio Mirko, con cui il giovane vive da quanto la sua famiglia è stata distrutta.


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