Roma, il turista caduto a Termini: «Se avessi avuto un infarto sarei morto, il 118 diceva sempre “arriviamo”»

«Mia moglie è caduta su di me, lei l’ho salvata ma io sono rotolato all’indietro per qualche gradino», racconta l’uomo

Tre ore di attesa per un’ambulanza e «24 chiamate» al 118. È successo ieri, lunedì 11 dicembre, alla stazione Termini di Roma. Protagonista della giornata (assai complicata) il turista milanese, Vincenzo Sciannameo, caduto su una delle due scale mobili che dal piano terra salgono alla Galleria. L’uomo si è infortunato a una gamba e in suo soccorso sono intervenuti gli agenti della Polfer; dopo ore è arrivato il 118 ed è stato, così, trasportato al policlinico Umberto I della Capitale. «Se avessi avuto un’infarto sarei morto lì a terra. Al 118 dicevano “Arriviamo, arriviamo”, e non arrivavano mai. Ventiquattro volte li hanno chiamati, le ho contate… Una cosa indegna», ha raccontato al Corriere della Sera sottolineando, inoltre, di non ricordare esattamente la dinamica dell’incidente. «Erano le 11 – spiega – eravamo più o meno a metà scala mobile, mia moglie un gradino sopra di me. Non so esattamente come, ma si vede che le ruote del suo trolley hanno urtato in avanti e l’hanno sbilanciata all’indietro. È caduta su di me, lei l’ho salvata ma io sono rotolato all’indietro per qualche gradino».


Le chiamate al 118

Accerchiato dagli agenti di polizia, a fargli «da scudo tra i passeggeri», Sciannameo ha provato a chiamare ripetutamente il 118. Non solo lui, in tanti hanno cercato di contattare il numero di emergenza, ma la risposta era sempre la stessa: «Stiamo arrivando», spiega. Quando finalmente è arrivata l’ambulanza, gli operatori hanno spiegato all’anziano «che è stata una giornata difficile, tante emergenze, sono stati gentili. Ma questi – per Vincenzo – sono gli effetti dei tagli alla sanità, evidentemente». Poi in ospedale: «Codice giallo, le lastre, la visita, altre tre ore». Tanta la paura, ma sapeva di non aver battuto la testa: «Avevo dolore alla gamba ma per fortuna sono qui a raccontarlo», conclude.


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