«In cima alla classifica c'è l'Estonia, seguita dalla Germania. L'Italia si posiziona al quinto posto», si legge nel report
«Almeno 215 milioni di dosi di vaccini Covid-19 acquistate dai Paesi dell’Ue all’apice della pandemia sono stati buttati via, con un costo stimato per i contribuenti di 4 miliardi di euro: si tratta quasi certamente di una sottostima». Lo rivela un’analisi di Politico, che si basa «sui dati di 19 Paesi europei, 15 che hanno fornito cifre dirette e quattro che sono stati riportati dai media locali». Alcuni dei dati trattati «risalgono a questo mese – scrive il giornale -, mentre i più vecchi risalgono al dicembre 2022. La Germania, ad esempio, ha fornito a Politico i dati relativi ai suoi rifiuti a giugno», si legge nell’articolo. «Anche in questo caso – riporta la testata – si tratta quasi certamente di una cifra minima». Da quando i primi vaccini contro il Coronavirus sono stati approvati alla fine del 2020, i paesi dell’Ue hanno ricevuto collettivamente 1,5 miliardi di dosi (più di tre per ogni persona in Europa). «Molti di questi – scrive ancora Politico – ora si trovano nelle discariche di tutto il continente».
Non è però facile scoprire quanti vaccini siano stati buttati via. I governi, infatti, – come la Francia – «sono riluttanti a rilevare l’entità dei rifiuti». I calcoli fatti sui dati disponibili mostrano che i paesi dell’Ue hanno scartato «una media di 0,7 vaccinazioni per ogni membro della loro popolazione»: in cima alla classifica c’è l’Estonia, che ha cestinato più di una dose per abitante, seguita dalla Germania, che ha anche buttato via il maggior volume di dosi. Mentre l’Italia si posiziona al quinto posto, preceduta da Olanda e Slovenia. I produttori di vaccini hanno inoltre introdotto nuove versioni adatte alle più recenti varianti di Covid-19, rendendo obsoleti i vecchi vaccini e aumentando le probabilità di essere scartati. Politico stima, dunque, il valore dei 215 milioni di vaccini sprecati in oltre 4 miliardi di euro sulla base dei vaccini riportati dai media. Per i Paesi invece che hanno riportato solo il numero di vaccini distrutti, senza fare una distinzione per tipo di vaccino, l’analisi ha è stata condotta prendendo in considerazione un prezzo medio ponderato di di 19,39 euro, calcolato in base ai dati forniti dai Paesi che hanno fornito una ripartizione. Fatto sta che, sottolinea l’analisi, 4 miliardi di euro sono una somma considerevole, pari a un grande progetto infrastrutturale o alla spesa sanitaria annuale della Croazia.
Piano energia e clima, la “pagella” della Commissione Ue promuove l’Italia solo a metà: bene sulle rinnovabili, male sull’addio ai combustibili fossili
Italia promossa sulle rinnovabili e la riduzione dei consumi di energia, bocciata sulla ristrutturazione degli edifici e il contrasto alla povertà energetica. Si potrebbe riassumere così il giudizio della Commissione europea sul Pniec, il piano per l’energia e il clima aggiornato dal governo Meloni lo scorso giugno. Oggi l’esecutivo di Bruxelles ha reso note le proprie raccomandazioni sul documento presentato dall’Italia, che stabilisce gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni. Un documento di 424 pagine, che sostituisce l’ultimo Pniec presentato nel 2019 dal governo Conte bis. Nel bilancio complessivo tracciato dalla commissaria Ue per l’Energia Kadri Simson, l’Italia viene citata come esempio virtuoso per le rinnovabili, ma viene rimproverata per la mancanza di un piano di adattamento ai cambiamenti climatici e per la strategia sul gas.
La “pagella” di Bruxelles
Sono cinque le aree in cui il piano presentato dall’Italia viene giudicato come positivo dall’Unione europea. La prima riguarda i buoni risultati sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, a cui si aggiunge anche la strategia del governo per migliorare l’efficienza energetica (e di conseguenza ridurre i consumi) in alcuni settori dell’economia. Luce verde anche sul fronte della sicurezza energetica, grazie alla diversificazione dei fornitori di gas e alla progressiva riduzione dell’import dalla Russia. Infine, ricevono un giudizio positivo la struttura del mercato interno dell’energia – che da inizio 2024 sarà interamente liberalizzato – e la decisione di eliminare progressivamente i sussidi ambientalmente dannosi.
Ci sono aree, però, in cui la Commissione europea boccia l’operato del governo e i suoi piani da qui al 2030. Uno dei punti più critici riguarda il contrasto alla povertà energetica. Su questo tema il Pniec non delinea gli obiettivi per i prossimi anni, né fa una stima di quante sono le famiglie che in questo momento faticano a pagare le bollette. La strategia dell’Italia viene bocciata anche sulla ristrutturazione degli edifici, che procede ancora troppo lentamente per raggiungere i target europei, e sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Su quest’ultimo punto, il governo Meloni ha annunciato più volte la volontà di approvare il Pnacc, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, dimenticato nei cassetti del ministero dal 2017. Il documento ha da poco superato la fase di Valutazione ambientale strategica (Vas), ma deve ancora essere approvato definitivamente prima di entrare in vigore. Infine, la Commissione europea rimprovera l’Italia per la mancanza di adeguati investimenti sul fronte della ricerca e dell’innovazione, in particolare per lo sviluppo di tecnologie a impatto zero e per la produzione di energia pulita.
Nel bilancio complessivo di tutti i Paesi Ue, firmato dalla commissaria Simson, l’Italia viene citata una ventina di volte. Sul fronte delle rinnovabili, il nostro Paese figura tra quelli in linea con gli obiettivi europei al 2030 e viene indicato come esempio virtuoso per aver deciso di creare “aree speciali” in cui snellire gli iter burocratici e accelerare l’installazione di progetti per la produzione di energia eolica e solare. È meno clemente, invece, il giudizio sulla strategia italiana per affrancarsi dai combustibili fossili. Insieme alla Croazia e alla Slovacchia, il nostro Paese prevede infatti di aumentare la produzione nazionale di gas naturale. L’Italia figura inoltre in un elenco di sette Stati che hanno posticipato l’impegno per l’addio definitivo a tutti i combustibili fossili. Insieme all’Italia ci sono anche Croazia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria e Slovacchia. E non è chiaro, fa notare la Commissione europea, come questa proroga impatterà sui piani di riduzione delle emissioni redatti dai governi in questione.
I dubbi degli esperti
Il piano a cui ha lavorato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto è stato pubblicato lo scorso giugno e trasmesso a Bruxelles nel mese successivo. Già allora, il documento aveva sollevato qualche perplessità tra esperti e addetti ai lavori. Il think tank per il clima Ecco l’aveva giudicato «sotto la sufficienza» e lo aveva descritto come «complesso, ridondante e, in diversi casi, contraddittorio rispetto all’obiettivo» di riduzione delle emissioni. È dello stesso parere anche l’associazione Transport&Environment, che proprio pochi giorni fa ha pubblicato un report in cui sostiene che l’Italia «rischia di bucare l’obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2030». Secondo la ong europea, le attuali politiche delineate nel Pniec per decarbonizzare i trasporti si basano troppo sul ruolo dei biocarburanti. E questo, spiega il report, non solo complica i piani di riduzione delle emissioni ma espone l’Italia «alla dipendenza dall’import di materie prime, che oggi garantisce il 94% del totale dei feedstock impiegati nel nostro Paese».