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Tutte pazze per la cronaca nera, Elisa True Crime: «Ecco perché il genere piace soprattutto alle donne» – L’intervista

Alla base del successo tra il pubblico femminile, potrebbe esserci il desiderio di capire come comportarsi in situazioni pericolose

Sin dalla nascita dei giornali, la cronaca nera spiccava tra le categorie più seguite. Ultimamente, però, sembra più popolare che mai. Che siate entusiasti fan del genere o esasperati partner costretti a passare il sabato sera davanti ai documentari su efferati serial killer, è innegabile che il true crime alimenti un mercato di enorme successo. Podcast, libri, canali YouTube, speciali Netflix: ormai ogni linguaggio è in grado di soddisfare il gusto per il macabro. Per la gioia del pubblico femminile: sembra infatti che le donne siano il principale target del genere. Lo ha certificato uno studio del 2010 presso l’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, mentre un sondaggio condotto dalla ABC ha rilevato che la crescente popolarità del «true crime» è attribuibile alle donne. Un’indagine del 2010 condotta su Amazon, inoltre, rivelò come il 70% delle recensioni dei libri di «true crime» era stato scritto da donne. Ma cosa spiega questa netta (e forse inattesa) predilezione? Abbiamo provato a capirlo parlando con Elisa De Marco (meglio conosciuta sul web come Elisa True Crime), volto e voce ormai indistinguibile per il pubblico più giovane.

Alla ricerca di strategie

Prima di essere creator, Elisa è stata follower: «Cercando spiegazioni su vicende di cronaca nera, mi ero imbattuta nei profili di alcuni YouTuber americani, che riuscivano a riscostruire in maniera chiara e ordinata le storie che cercavo. Era più semplice guardare un video che cercare di fare una quadra tramite i molti articoli, spesso contraddittori, pubblicati nel tempo». Il fascino che il genere ha da sempre esercitato su di lei ha una spiegazione: «Sono incuriosita dall’aspetto psicologico: cosa spinge persone apparentemente ordinarie a fare cose che noi persone ordinarie non faremmo». Ma c’è dell’altro: «Noi donne purtroppo sappiamo che spesso siamo le prime vittime di queste storie. Guardandole, sentivo come se potessi imparare a difendermi, a proteggermi. Come se conoscere il male che esiste nel mondo mi permettesse in qualche modo premunirmi».

Un genere femminile?

Un’argomentazione che riecheggia nelle parole di Amanda Vidary, coautrice della sopracitata indagine su Amazon: «Le donne sono particolarmente affascinate da quelle storie in cui c’è un modo per sopravvivere: la vittima che è riuscita a scappare o l’assassino che sceglieva le proprie prede in base a criteri ben determinati. Forse potrebbe voler dire che guardano true crime in cerca di consigli utili». Il quadro trova riscontro anche nell’audience di Elisa: «Il mio pubblico è formato all’87% da donne, di tutte le età». Eppure, la percezione del pubblico sembrerebbe scontrarsi con gli ultimi dati Istat a riguardo, che ci dicono come su 322 omicidi avvenuti nel 2022, 196 abbiano riguardato uomini. Ma ci potrebbero essere anche altre spiegazioni oltre la presunta ricerca di consigli di sopravvivenza, coerenti con il fatto che in 106 casi su 126 il delitto sia stato classificato dall’Istat come «femminicidio».

«Riconoscere i campanelli d’allarme»

Nel saggio Il mostruoso femminile, Jude Ellison Sady Doyle scrive come le storie di moderni Barbablù siano utili, «perché permettono alle donne di discutere della pervasività della violenza coniugale. Come i film slasher riescono a convertire il trauma privato in uno spettacolo pubblico e a fornire così alle donne un linguaggio per il loro dolore». Tesi che sembra coerente con l’esperienza di Elisa: «Spesso, le mie ascoltatrici mi raccontano che grazie ai miei video sono riuscite a riconoscere i campanelli d’allarme di una relazione tossica e a uscirne». Qualcosa che Elisa sostiene la riempia di orgoglio, e fa capire come il genere non è da bollare unicamente come passatempo per morbosi. Lo dimostrano anche i numeri dei suoi canali: 290mila followers su TikTok, quasi un milione di iscritti su YouTube, 378mila seguaci su Instagram.

Morbosità o desiderio di catarsi?

Un evidente trionfo, considerata la relativa giovinezza del suo canale. Classe 1989, la carriera social di Elisa è infatti iniziata nel corso del primo lockdown: era il 2020, e lei si trovava a Shangai, dove si era trasferita per seguire il marito. Bloccata a causa della pandemia, senza offerte lavorative all’orizzonte e in un Paese che parlava una lingua straniera, sentiva l’esigenza di darsi da fare: «Ho sempre lavorato, dall’età di 18 anni. Quindi ne ho approfittato per rispolverare questa passione, che coltivavo da tempo». Senza sperare nel successo ottenuto, a cui ha provato a dare una spiegazione. Rielaborando teorie junghiane di vecchia data, ipotizza che il genere attragga così tanto anche perché permette di sperimentare «dal caldo del proprio divano» situazioni pericolose, riuscendo a vivere una sorta di catarsi. C’è anche chi, come la scrittrice Nancy Jo Sales sul Guardian, correla il boom del «true crime» al diffondersi delle app di incontri: «Gli appuntamenti non sono mai stati del tutto sicuri per le donne. Ma ora, la frequenza con cui possono incontrare uomini sconosciuti può far paura». Eppure, secondo Elisa qualcosa sta cambiando: «C’è molta più consapevolezza rispetto al passato. Si riconoscono problemi e si affrontano tematiche che quando ero ragazzina io non venivano nemmeno riconosciute».

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