Beppe Scienza: «Vi spiego come difendere i vostri risparmi dall’inflazione e dall’informazione»

Il professore di matematica dell’Università di Torino ha pubblicato il libro “I nostri soldi e l’inflazione”. E oggi illustra a Open come salvare i soldi dal carovita e dal sistema finanziario

Se volete tutelare i vostri risparmi «non leggete i giornali e non fatevi consigliare dalle banche. Solo così potrete salvarli». Il professor Beppe Scienza è docente del dipartimento di matematica dell’università di Torino. A questa attività affianca da anni quella di ombudsman dei risparmiatori: studia il risparmio e la previdenza integrativa, con particolare attenzione ai fondi d’investimento. E poi è giornalista pubblicista: ha collaborato, tra gli altri, con il Corriere della Sera, Milano Finanza e La Repubblica oltre ad avere un blog sul Fatto Quotidiano. Ora ha pubblicato un nuovo libro, che si chiama proprio “I nostri soldi e l’inflazione”, per Ponte alle Grazie. E in questo colloquio con Open ci fornisce gli strumenti per districarsi nel mare degli investimenti finanziari.


Il suo libro ha come sottotitolo “Come difendere i risparmi da carovita, banche, consulenti… e giornalisti”. Perché ce l’ha con noi?

«Beh, in premessa va detto che anche io sono iscritto all’Albo. Ma la quasi totalità di coloro che scrivono di risparmio e previdenza si limita a riportare comunicati stampa e veline di banche e fondi d’investimento. Fanno un po’ da portavoce. La stampa spinge per i prodotti bancari e diffama i buoni del Tesoro. Eppure per tutelarci dall’inflazione, anche futura, la soluzione sono proprio i titoli indicizzati all’inflazione».


Lei crede che nella stampa che parla di risparmio gestito ci sia un problema di conflitto d’interessi o di incompetenza?

«L’incompetenza è generalizzata. Tutti quelli che scrivono di questa materia di solito non ne capiscono niente. Ma i conflitti d’interesse ci sono. Il primo è con la pubblicità: se si critica il risparmio gestito non si ottiene la pubblicità dei prodotti. Poi c’è quello con la proprietà. L’esempio più semplice è quello del Sole 24 Ore. La proprietà è la stessa che ha interessi nella previdenza integrativa. Poi ci sono le banche, che di certo non gradiscono che si parli male dei loro prodotti. Infine c’è la piccola corruzione: spesso si invitano i giornalisti a parlare nelle convention, li pagano e creano così un rapporto. E c’è la vigliaccheria: se si scrive bene di un prodotto non si corrono rischi di avere noie. Se ne scrive male, rischia le querele o le rispostacce, oppure ancora i richiami al caporedattore e al direttore».

Però le statistiche ci dicono anche che gli italiani non sono esattamente i maggiori cultori europei in matematica finanziaria.

«Ma questo è un grande imbroglio. Basterebbe scrivere articoli in cui si spiegano trappole e imbrogli del risparmio gestito per aiutarli. E questo è l’esatto contrario rispetto a quello che fa l’educazione finanziaria, che è monopolizzata dalle banche con il beneplacito di Bankitalia. Per fare divulgazione e informazione basta fare il contrario dell’educazione finanziaria: ovvero spiegare che il primo nemico del risparmiatore sono le banche».

E allora veniamo alla domanda delle domande: come si difendono i risparmi dal carovita oggi senza farsi fregare?

«Tutto sommato in maniera abbastanza semplice: acquistando titoli indicizzati all’inflazione. È quasi una tautologia. Per difendersi dal carovita bisogna prendere i titoli che seguono l’andamento dei prezzi».

Nel suo libro lei dice che i migliori strumenti a difesa del potere d’acquisto sono complicati titoli di Stato italiano o esteri: Btp Italia, Btp-i, o At-ei, Bund-ei, ma anche di buoni fruttiferi postali. Perché un risparmiatore dovrebbe sceglierli e quali sono le differenze tra i prodotti?

«I Btp Italia sono indicizzati all’inflazione italiana, i Btp-i a quella dell’eurozona: hanno una struttura diversa perché cumulano l’inflazione invece di pagarla ogni sei mesi. Poi ci sono i prodotti francesi e tedeschi, che sono simili a quelli italiani, sono indicizzati all’inflazione europea, la pagano a fine rimborso e rendono di meno perché sono considerati più sicuri rispetto agli italiani. Ci sono anche i buoni postali: Soluzione Futuro scade al compimento dei 65 anni ma si può riscattare prima. Ma ne arriveranno di nuovi».

Sul Trattamento di Fine Rapporto lei scrive di una sistematica manipolazione della realtà a opera del giornalismo economico italiano. Perché?

«L’idea della previdenza integrativa di per sé non sarebbe strampalata. Il problema è la realizzazione. In Italia si destina il Tfr a un fondo pensione o a un piano individuale pensionistico. Ma il Tfr è collegato già all’inflazione: si rivaluta con una formula che la comprende. Quindi ne recupera il 75% più l’1,5% di interesse. E infatti nel 2022 ha fatto il 10% recuperando l’inflazione. Tutta la previdenza integrativa non è agganciata all’inflazione. Poi i fondi pensione sono opachi: non si può sapere cosa c’è dentro, cosa vendono e cosa comprano e a che prezzi. Lasciare tutto nascosto e coperto permette malversazioni che non si possono scoprire. Infine ci sono i costi, che però non sono l’aspetto peggiore se si tengono pochi anni. Ma se si trasferisce il Tfr a 25 anni e si resta per 40 anni in un fondo pensioni, alla fine paga il 20% e questo gli brucia tutto il vantaggio fiscale. Funziona quando si hanno 60 anni e uno stipendio alto, ovvero il contrario di come dovrebbe essere. In più ci sono rischi per i fondi negoziali come Cometa: ci possono entrare titoli delle aziende metalmeccaniche e metà degli amministratori è nominata dalle aziende. Un chiaro conflitto d’interessi».

Un’altra cosa che colpisce è il suo insistere sul “fare da soli” invece che pagare consulenti inutili. Eppure spesso le banche chiamano per fissare appuntamenti con “il consulente”. Perché non dobbiamo andarci?

«Perché è inutile sentirsi raccontare frottole. Soprattutto se non si ha la competenza per contestarle. L’imbroglio poi avviene dicendo falsità a voce, mentre i documenti scritti dicono altro. La persona tende a credere a ciò che gli si dice, si trova in una situazione di asimmetria informativa. Invece bisogna andare e dire: “Io voglio comprare questo e non voglio dare spiegazioni”. Perché non devo giustificarmi con loro».

Leggendo il suo libro si capisce che lei privilegia gli investimenti difensivi. Fa così anche con i suoi risparmi o ha trovato una miniera d’oro che si tiene per sé?

«Eh, io sono uno che predica bene e razzola male. Prendo anche investimenti rischiosi come obbligazioni subordinate o azioni. Una cosa che invece sconsiglio assolutamente sono i Bitcoin: quelli sono un grande catena di Sant’Antonio. Una cosa che in un anno raddoppia e dimezza è chiaramente speculativa».

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