La Commissione europea striglia l’Italia: «Il nuovo assegno di inclusione aumenta la povertà». Il ministero: «Analisi parziale»

Secondo l’analisi condotta dalla Commissione il nuovo strumento provocherà un aumento dell’incidenza della povertà assoluta e infantile, rispettivamente di 0,8 e 0,5 punti percentuali

L’analisi condotta dalla Commissione Europea nell’ambito del semestre europeo rivela che l’assegno di inclusione introdotto in Italia determinerà un aumento dell’incidenza della povertà assoluta e infantile, rispettivamente di 0,8 e 0,5 punti percentuali, rispetto al regime precedente. Questo è quanto emerge dal rapporto sulla convergenza sociale dedicato al nostro Paese, in cui si evidenzia il rischio di una diminuzione dell’impatto nel contrasto alla povertà a causa di criteri di ammissibilità più stringenti introdotti con il nuovo regime. L’analisi della Commissione Europea si è focalizzata su più ambiti, dall’istruzione all’occupazione, dalla povertà alla questione meridionale, mettendo in luce potenziali rischi per la convergenza sociale nel paese. Nonostante sforzi e progressi, soprattutto nell’ambito dell’occupazione, viene sottolineato che con ulteriori azioni l’Italia potrebbe affrontare meglio le sfide che incombono nell’ambito del mercato del lavoro, della protezione sociale, dell’inclusione e dell’istruzione.


«Il Decreto Lavoro? Insufficiente»

Per quanto riguarda il lavoro, la Commissione Europea segnala che, nonostante lievi miglioramenti nel 2023, «la percentuale di contratti a tempo determinato rimane tra le più elevate nell’Unione Europea». Questo, combinato con l’alta incidenza di forme di lavoro non standard (tra cui il lavoro stagionale), «contribuisce a una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno e alimenta l’ineguaglianza e la volatilità dei guadagni annuali». Le recenti riforme, come il decreto Lavoro, non sono ancora considerate sufficienti nel risolvere il problema dei contratti precari.


I salari bassi

Anche le retribuzioni, «strutturalmente basse», rappresentano una grande criticità, con una crescita inferiore rispetto alla media dell’Unione europea e un potere d’acquisto in diminuzione. «Tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, metà della crescita a livello dell’Ue (23%), e mentre il potere d’acquisto nell’Ue è aumentato del 2,5%, in Italia si è ridotto del 2%», si legge nel report. «La stagnazione salariale, la bassa intensità di lavoro e i bassi tassi di occupazione, insieme a un’elevata percentuale di famiglie monoreddito, comportano significativi rischi di povertà lavorativa», nota l’esecutivo Ue.

La replica del governo: «Analisi parziale»

Non tarda ad arrivare una replica del diretto interessato per materia di competenza, il nostro ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il quale si dimostra poco preoccupato su quanto emerso. «L’analisi della Commissione si basa su uno studio di natura statica e parziale, nel senso che non tiene conto delle dinamiche di attivazione generate dalle nuove misure e dalla crescita dell’occupazione in Italia», dichiarano fonti del dicastero, secondo cui «una valutazione complessiva» porterebbe probabilmente a un’analisi più positiva. «In pratica, non è su questa base che si possono compiutamente valutare gli effetti delle politiche attive introdotte dal governo, perché il Reddito di cittadinanza è stato sostituito non soltanto dall’Assegno di inclusione, ma anche dal Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) che ha una funzione essenziale di accompagnamento al lavoro», chiosano.

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