L’inchiesta su Toti e la corruzione in Liguria e il rischio di pagare la diga di Genova due volte

L’allarme dell’Anac. Le contestazioni e la sentenza del Tar. Le intercettazioni sul prezzo più alto. E i rischi dalle clausole Pnrr

La diga di Genova gli italiani rischiano di pagarla due volte. La grande opera al centro dell’inchiesta su Giovanni Toti e la corruzione in Liguria si trova in una situazione giuridica ingarbugliata. La diga foranea sarà lunga 6.200 metri ed è pensata per consentire ingresso e manovra alle grandi navi portacontainer. L’investimento totale è pari a 1,3 miliardi. Si tratta di uno dei grandi progetti strategici del Pnrr ed è finanziata per 500 milioni dal fondo complementare. La posa della prima pietra è avvenuta il 4 maggio 2023. L’ultimazione è prevista per il 2026. Ma il presidente dell’Autorità Anticorruzione Giuseppe Busia nella sua relazione annuale ieri ha lanciato l’allarme: «C’è il rischio di un significativo aumento dei costi. Perché è stato riconosciuto al privato il diritto di stabilire a quali condizioni realizzarla.


Le contestazioni

La storia comincia esattamente un anno fa. A poco meno di una settimana dall’avvio ufficiale dei lavori, il Tar della Liguria annulla l’aggiudicazione della gara. Trattandosi però di un’opera finanziata con le risorse del Pnrr, i cantieri non si fermano in quanto l’annullamento dell’affidamento non comporta la cessazione del contratto già stipulato. Di fatto, dunque, la stazione appaltante potrebbe ritrovarsi a pagare non solo il consorzio che ha stipulato il contratto ritenuto illegittimo ma anche la società che non è riuscita ad aggiudicarsi la gara. L’Anac pone quattro irregolarità. La prima sono i motivi addotti per giustificare il ricorso alla procedura negoziata invece che alla gara e contesta che la scelta sia stata ribadita dopo che la prima procedura è andata deserta. Poi c’è l’alterazione delle condizioni iniziali in modo tale che ad accollarsi il rischio di problemi geologici è stato lo Stato.


La commissione sostituita a buste aperte

L’Autorità portuale ha anche nominato una commissione giudicante che ha dovuto poi sostituire dopo essersi accorta dei conflitti d’interesse che richiedevano la nomina di un nuovo collegio. Infine, alcune voci di costo non sono state computate correttamente e questo ha causato un aumento dei prezzi. Ma c’è di più. Perché se la sentenza del Tar venisse confermata dal Consiglio di Stato secondo l’Anac sarà inevitabile doverla risarcire. E si tratta di un appalto da 1,3 miliardi di euro. Affidato da Paolo Emilio Signorini ad un consorzio con capofila WeBuild senza una corretta procedura di gara, perché la società non aveva i requisiti. La diga foranea di Genova è stata inserita nel decreto Genova per la ricostruzione del Ponte Morandi. Ha potuto così usufruire delle deroghe al Codice dei contratti.

I costi aggiuntivi

La società ha poi spuntato clausole riguardo la revisione dei prezzi. Sempre secondo l’Anac questo vuol dire che si potrebbero dover affrontare costi aggiuntivi anche molto ingenti. Che sono anche questi a carico dello Stato. E che i costi possano salire lo si capisce anche da una serie di intercettazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano: La conversazione si svolge quando il governo Draghi ha appena approvato il decreto Aiuti, che riconosce aumenti del 20% dei costi delle materie prime.

La misura però non basta a Webuild, come spiegava Toti a Signorini, intercettato, già il 10 giugno riferendogli una conversazione appena avuta con Salini (non indagato): «Non l’ho visto particolarmente ostile, lo sa che lo devono fare, però qualcuno gli racconta delle robe, secondo me, parzialmente vere per pararsi il culo, nel senso dice ‘…no ma quello è un appalto dopo il… riqualificazione del Decreto Draghi, quindi non possono neanche aggiungere il 20 per cento… poi quel Decreto non c’ha la copertura nel pluriennale quindi ce l’abbiamo solo semmai il 20 per cento per il primo anno…eeh…bisogna capire, perché se no così cosa facciamo? … ‘ … boh quindi… va un minimo rassicurato».

400 milioni in più

Signorini ha anche una stima dei costi aggiuntivi. «Lui (cioè Salini, ndr) dice che ci vogliono 400 milioni in più». Ovvero un miliardo e 450 milioni, mezzo miliardo in più del valore dell’appalto. Webuild sembrava quindi puntare a una nuova negoziazione. E Signorini l’aveva capito: «Salini mi ha detto ‘minchia Paolo! mi ha chiamato tutto il governo, mi hanno fatto un culo grande quanto una capanna…’ m’ha detto…perché l’hanno chiamato dicendo… il 18% ce l’ha Cdp (Cassa depositi e prestiti, azionista di Webuild, ndr) no? …quindi fanno ‘ma tu decidi di non andare alla gara e non ci dici un cazzo?? Ma come ti??’ …sai lui è un filibustiere eh».

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