Garlasco, Andrea Sempio e il carabiniere senza guanti che può essere decisivo nell’omicidio di Chiara Poggi


Che l’impronta n. 33 di Garlasco contenga sangue o materiale biologico lo decideranno gli esperti. Così come la sua possibile attribuzione. Ma che risalga ai giorni dell’omicidio di Chiara Poggi è quantomeno molto probabile. Grazie a un carabiniere senza guanti. Che è entrato nella villetta di via Pascoli solo il 13 agosto, durante i rilievi per l’omicidio. E lo ha fatto senza le protezioni necessarie per non inquinare la scena del crimine. Ma anche l’intervento dei Ris che l’ha rimossa dalla parete grattandola con un bisturi sterile potrebbe alla fine aiutare i pm che accusano Andrea Sempio. Perché forse l’intonaco è stato conservato. E quindi è possibile scovare tracce biologiche.
Traccia di interesse dattiloscopico
Dall’inizio. La «traccia di interesse dattiloscopico» già repertata nel 2007 si trova nella parete a destra alla fine delle scale che portano alla tavernetta. È lì che è stato trovato il corpo di Chiara. L’impronta appartiene al palmo della mano di Andrea Sempio. E il procuratore capo di Pavia Fabio Napoleone, l’aggiunto Stefano Civardi e le pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza sono convinti di poterla datare. Grazie alla storia dattiloscopica delle due pareti che delimitano la scala che porta alla cantina. Sulla parete opposta infatti c’è un’altra impronta. Che appartiene a un carabiniere di Vigevano ed è stata repertata come numero 37. Il militare ha lasciato anche le tracce 44 e 46. E se «è logico-fattuale che l’impronta sulla parete delle scale appartenga all’assassino», ecco che è anche logico che sia stata lasciata il 13 agosto.
Cosa non torna
Ma la procura dovrà anche spiegare qualcosa che non torna. Per esempio l’assenza di impronte di scarpe lungo le scale. All’epoca del processo nei confronti di Alberto Stasi la circostanza era stata spiegata con il fatto che il corpo fosse stato lanciato dall’altro. Ma se non c’erano impronte di scarpe, non c’erano nemmeno impronte di scarpe di Sempio. C’è anche un’altra traccia significativa. È la numero 10. Che è stata trovata nella porta d’ingresso vicino alla maniglia. Ma questa non è certamente dell’attuale indagato. I carabinieri scrivono: «L’eventuale comparazione positiva di questo contatto n. 10 (se fosse sangue) con quello di Stasi potrebbe fornire un ulteriore indizio a suo carico». Ma anche qui a costo di smentire il processo. Dove si disse che l’assassino si era lavato le mani nel lavandino.
Il complice
Per questo, oltre al Dna, ancora oggi la procura di Pavia ipotizza la presenza di un secondo uomo sul luogo del delitto. E per questo nell’avviso di garanzia a Sempio si ipotizzava che fosse complice di Stasi. Anche se l’ipotetico materiale biologico fosse di Chiara Poggi ci sarebbe un problema. Perché per lo stesso motivo precedente non potrebbe averlo portato Stasi. Nell’incidente probatorio deciso dalla Gip Daniela Garlaschelli i periti Denise Albani e Domenico Marchegiani dovranno definire una volta per tutte il materiale biologico trovato sotto le unghie di Chiara. Ma anche su altro materiale: il tappetino del bagno, le bustine di tè, lo yougurt. E i para-adesivi di tutte le impronte. Alla ricerca di un match. Con il dna delle gemelle Paola e Stefania Cappa, quello dell’amico di Alberto Stasi, Marco Panzarasa, o quello di Mattia Capra, Roberto Freddi e Alessandro Biasibetti, gli amici di Sempio.
Pasquale Linarello
Intanto Pasquale Linarello, responsabile della sezione genetica di Eurofins Genoma e consulente della difesa di Stasi, spiega a Libero perché presenterà una relazione (firmata da Oscar Ghizzoni) sulla traccia. «La traccia è stata testata con il conbur test (che serve per chiarire se c’è sangue in generale, ndr) che ha fornito esito dubbio e con l’OBTI test (che serve per capire se c’è sangue umano, ndr) che ha fornito esito negativo», è scritto nella relazione. C’era un alone o un qualche altro elemento che ha indotto gli investigatori a fare il test del sangue, ma il problema è che non abbiamo fotografie, nella relazione del Ris, dello stato del muro prima del trattamento per esaltare le impronte, per capire se c’erano aloni o macchie rosse», risponde Linarello.
La ninindrina
L’impronta è stata trattata con la ninidrina. Ovvero il reagente che serve a esaltare le impronte latenti e responsabile del colore rosso. «L’impronta è stata così reattiva alla ninidrina perché forse c’era del sangue: c’è una parte della traccia molto più rossa, che è quella cerchiata nella relazione, che è stata asportata per fare ulteriori analisi, ma va considerato anche che la ninidrina inibisce il sangue. Sarebbe interessante trovare una fotografia del muro con quella traccia prima che venisse trattata: la stiamo cercando tra le oltre 500 a disposizione, perché anche solo un’immagine potrebbe far capire molte cose», chiosa ancora l’esperto.
L’altra impronta
Poi c’è l’altra impronta, ovvero la numero 10. «Il sangue, che è verosimilmente di Chiara Poggi, ha fatto “da inchiostro” evidenziando un’impronta sulla parte interna della porta d’ingresso della casa. Su questo elemento, però, non sono mai state fatte ulteriori analisi per capire se sotto c’è del Dna e se l’eventuale Dna è maschile o femminile. E, ancora, se appartiene a qualcuno che frequentava la casa oppure no. Se oltre al sangue di Chiara ci fosse il Dna di qualcuno, quella sarebbe la firma dell’assassino. O meglio, la certezza che sulla scena del crimine c’erano più soggetti». E si torna al delitto in concorso. Per il quale bisognerà trovare però un movente solido.