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«Non mi hanno fatto il contratto indeterminato perché sono incinta»: la battaglia di una madre contro Poste Italiane. Cosa ha deciso il giudice

28 Giugno 2025 - 16:07 Alba Romano
La storia della 37enne ritenuta inidonea all'assunzione dopo la visita medica che ha attestato lo stato di gravidanza

Una gravidanza non è una malattia, ma in molti casi purtroppo diventa ancora motivo di esclusione dal lavoro. Lo dimostra la storia di L., 37 anni, che si è vista negare l’assunzione in Poste Italiane a causa del suo stato di gravidanza. Dopo mesi di attesa, ansia e una causa legale, lo scorso 23 maggio ha finalmente firmato il suo contratto a tempo indeterminato. La sua storia si è conclusa con una vittoria simbolica e concreta, resa possibile anche grazie al supporto del sindacato Slc-Cgil e della consigliera regionale di parità Sonia Alvisi. Tutto era iniziato nel luglio 2024, quando L., già lavoratrice per Poste nel 2019 con contratti a termine, viene convocata per una visita medica propedeutica all’assunzione a tempo indeterminato. In virtù del diritto di precedenza, avrebbe dovuto firmare senza ostacoli. Ma al controllo sanitario, la sua gravidanza all’ottavo mese viene considerata una condizione di «temporanea inidoneità». A differenza degli altri candidati, lei non ottiene né il contratto né l’accesso alla maternità.

Il ricorso

«Aspettare un bambino non è una malattia e il mio era un lavoro impiegatizio, non certo fisicamente rischioso», commenta ad Alessandro Testa del Corriere della Sera. Ma alla visita, il medico si consulta con l’azienda e nega il via libera all’assunzione. Da quel momento, per L., comincia un anno di attesa. Nonostante le rassicurazioni sul carattere «temporaneo» del blocco, non arriva alcuna nuova data per firmare. Fino a quando, saputo di un caso simile risolto positivamente in un’altra regione, decide di mobilitarsi. Con il sostegno della Slc-Cgil, parte un ricorso formale. «Poste voleva concedere solo un’anzianità convenzionale, posticipando però l’assunzione reale. Ma così non si cancellava la discriminazione subita». Nemmeno il tentativo di conciliazione promosso dalla consigliera di parità della Regione Emilia-Romagna sortisce effetto. Si va quindi in giudizio.

La decisione del giudice

Il verdetto arriva dopo mesi: il giudice dà pienamente ragione a L. e impone l’assunzione retroattiva. Dal 26 maggio è in servizio nel centro di smistamento a Bologna, e a breve riceverà anche gli arretrati. Non solo: da settembre il contratto part-time verrà trasformato in full-time. «È una grande conquista. Ora possiamo pensare a un mutuo per una casa, con due figli piccoli e uno stipendio finalmente stabile. Nessuna donna dovrebbe vivere una situazione del genere. Non si può essere discriminate perché si aspetta o desidera un figlio».

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